Mentre trattava le condizioni di uscita dall’Europa e dal suo mercato, Londra ha lavorato alacremente per ridefinire gli accordi con i paesi con cui i rapporti commerciali sono regolati dall’Economic partnership agreement (Epa) con l’Unione Europea.
La Comunità dell’Africa Orientale (Eac, cui aderiscono Burundi, Kenya, Rwanda, Tanzania, Uganda e, con alcune limitazioni, Sud Sudan) ha concluso il negoziato con l’Ue il 16 ottobre del 2014. Il trattato è stato a lungo dibattuto nella regione, tanto che solo due anni dopo, nel settembre del 2016, solo due paesi, Kenya e Rwanda, l’hanno firmato. Il Kenya però è finora l’unico paese della regione ad averlo ratificato. Perciò un nuovo accordo doveva essere trovato prima che l’Epa per Londra decadesse a causa della Brexit.
Nairobi è al 73esimo posto tra i partner commerciali e ha una quota pari allo 0,1 di tutto il commercio britannico. Tuttavia, secondo il sito Business Daily Africa le esportazioni verso il Regno Unito si sono intensificate negli ultimi cinque anni, mentre calavano proporzionalmente le importazioni.
L’anno scorso il valore delle esportazioni è stato pari a 49,51 miliardi di scellini (circa 450 milioni di dollari) mentre le importazioni sono state pari a 29,29 miliardi di scellini (circa 265 milioni di dollari). Nel 2016 erano 37,58 e 33,49 miliardi di scellini (340 e 303 milioni di dollari circa, rispettivamente). La fonte dei dati è l’Ufficio statistico governativo keniano, il Knbs. Se ne trovano anche di diversi, ma i dati del Knbs sono generalmente credibili.
Il Kenya importa dal Regno Unito soprattutto veicoli, materiale elettrico ed elettronico, farmaci, prodotti chimici, carta. Vi esporta soprattutto caffè, tè, spezie, ortaggi e fiori. Se i dati del Knbs sono accurati, si può pensare che Nairobi abbia progressivamente differenziato i propri fornitori di prodotti finiti, mentre Londra abbia invece progressivamente aumentato la sua, seppur minima, dipendenza dai prodotti agricoli kenyani.
Con il nuovo accordo post Brexit, Londra sembra intenzionata a invertire, progressivamente ma drasticamente, la linea di tendenza.
L’accordo, firmato l’8 dicembre scorso, prevede la riduzione quasi totale delle dogane per i prodotti kenyani importati nel Regno Unito e viceversa, con un processo della durata complessiva di 25 anni con diverse tappe intermedie e qualche eccezione e restrizione (ad esempio per armi e munizioni).
L’accordo, secondo quanto riporta il sito del quotidiano regionale The East African, potrebbe essere in seguito esteso a tutti gli stati membri dell’Eac. Ma perplessità in merito agli impatti nocivi sul processo di integrazione regionale sono state sollevate anche dal Comitato britannico per gli accordi internazionali, tanto che il parlamento ha deciso di rinviare di tre settimane la ratifica, inizialmente prevista per il 10 febbraio. Nei giorni scorsi, intanto, un accordo simile è stato firmato anche con il Ghana che segue Sudafrica, Botswana, Lesotho, Namibia, E-swatini e Mozambico.
Il trattato dovrà essere ratificato anche dai due rami del parlamento kenyano. Ma sembra che, almeno a Nairobi, la ratifica non sia scontata, perché, secondo diversi esperti, potrebbe aprire la porta ad un’ondata di prodotti britannici che soffocherebbe i prodotti locali, a partire dalla fine del primo periodo dell’accordo, della durata di sette anni, che prevede clausole di protezione speciali. Perciò i parlamentari hanno chiesto un supplemento di informazioni prima del voto.
La ministra per l’Industrializzazione, il commercio e lo sviluppo imprenditoriale, Betty C. Maina, ha illustrato l’accordo sottolineandone gli aspetti positivi, il più importante dei quali è l’aumento dell’esportazione verso un mercato stimato 205 miliardi di dollari, in cui ora il Kenya incide per una quota infinitesimale.
Ha affermato che grazie al trattato si potrà raggiungere il 5% della quota del mercato britannico entro il 2025, portando il valore delle esportazioni a 10,2 miliardi di dollari, mentre la media degli ultimi cinque anni è stata di circa 39 milioni di dollari (39 miliardi di scellini).
Ha anche sottolineato le misure di protezione previste per le industrie in fase iniziale, per i prodotti agricoli e gli interessi nazionali nel mercato regionale. Ha però dovuto ammettere che l’accordo comporterà problemi e perdite nei due settori, ma che il governo ne è consapevole e sa come affrontare la situazione in maniera positiva.
Non ne sono convinti i piccoli produttori agricoli riuniti nel Kenya small scale farmer forum (Kssf) che hanno denunciato il governo al fine di impedire la ratifica del trattato, contestando prima di tutto la metodologia con cui è stato negoziato, tagliando fuori dal dibattito i diretti interessati.
In una dichiarazione ufficiale della loro organizzazione entrano poi nel merito affermando che: “L’accordo prevede un mercato aperto con tariffe pesantemente sovvenzionate per i prodotti agricoli britannici come polli, maiali e granoturco che hanno il potenziale di distruggere la produzione locale degli stessi prodotti”.
Si tratterebbe perciò, complessivamente, di un accordo in cui si intravedo chiaramente politiche commerciali sbilanciate e inique, aggiungono i piccoli produttori agricoli nelle loro dichiarazioni.
Molte preoccupazioni si notano anche nel settore della pesca, dal momento che l’accordo prevede l’accesso alle acque kenyane ai grandi pescherecci inglesi, in violazione degli stessi regolamenti ittici del paese.
Per ora il parlamento di Nairobi non ha ratificato il trattato. Il dibattito verte proprio su evidenti squilibri dovuti a differenze tra la forza politica e il peso economico dei due partner. La ratifica dovrebbe essere decisa entro l’8 marzo, ma la discussione è ancora aperta.