30 anni di migrazioni negate - Nigrizia
Migrazioni
Un libro celebra i 20 anni della rivista Diritto, immigrazione e cittadinanza
30 anni di migrazioni negate
Asgi e Magistratura democratica pubblicano una voluminosa raccolta di testi sullo ius migrandi, che mette insieme cinquanta autori e autrici e trent’anni di politiche e legislazioni sul diritto a migrare. Un lavoro importante per comprendere fallimenti e fatiche della storia dell’immigrazione nel nostro paese
08 Marzo 2021
Articolo di Jessica Cugini
Tempo di lettura 6 minuti
IMMIGRAZIONE: A LAMPEDUSA IN NOTTATA ALTRI 310 CLANDESTINI
20051228 - IMMIGRAZIONE, CONSULTA BOCCIA ALTRA NORMA DELLA BOSSI-FINI - Un barcone di immigrati nelle acque dell'isola di Lampedusa (Agrigento) in un'immagine d'archivio del 22 giugno scorso. FRANCO LANNINO/ARCHIVIO ANSA/ji

Trent’anni di leggi, vent’anni di rivista e una corposa pubblicazione che mette insieme cinquanta autori e autrici. Un’unione di saperi che dà vita al libro Ius migrandi.

Trent’anni di politiche e legislazione sull’immigrazione in Italia, pensato per celebrare il ventennale della pubblicazione Diritto, immigrazione e cittadinanza, nata per volere dell’Asgi (Associazioni per gli studi giuridici sull’immigrazione) e di Magistratura democratica. Una rivista che, nel tempo, ha contribuito non solo a diffondere conoscenze giuridiche nel campo del diritto dell’immigrazione tra chi lavora con le leggi, ma soprattutto a renderle fruibili a un pubblico più ampio.

E se la rivista si dichiara di parte, dalla parte dei diritti, soprattutto dello ius migrandi, anche il libro, curato da Monia Giovannetti e Nazzarena Zorzella, ha come filo rosso la difesa del diritto alla mobilità. Un diritto naturale universale, tra i più importanti principi del diritto internazionale e forse anche il più bistrattato, politicizzato, negato.

E, proprio per questo, specchio delle nostre società: l’indirizzo delle normative che lo comprendono infatti, svela cosa siamo e cosa stiamo diventando. Perché, da sempre, il riconoscimento o la negazione dei diritti racconta l’essenza vera di un far politica da parte di una democrazia.

Politiche miopi

Ius migrandi. Trent’anni di politiche e legislazione sull’immigrazione in Italia racconta il fallimento dei governi che si sono succeduti nel nostro paese, governi incapaci di affrontare in maniera razionale ed efficiente una realtà che, con il tempo, è diventata sempre più una costante storica e strutturale: l’immigrazione.

Diversi gli errori fondamentali nella gestione della realtà migrante in Italia. Innanzitutto l’impossibilità di un ingresso regolare da parte degli immigrati; l’irrigidimento delle politiche volte più al contenimento/espulsione che all’integrazione di chi arriva; la regolarizzazione che passa soprattutto attraverso procedimenti di sanatorie, che contribuiscono a denunciare palesemente l’assurdità di un approccio negazionista del diritto a migrare e restare.

Errori nazionali che si sommano a una miopia europea, incapace di arrivare a una politica condivisa e responsabile. L’Europa, che ha lasciato la gestione dello ius migrandi ad approcci stato-centrici, si è saputa unire solo nell’esternalizzazione delle frontiere e nel rafforzamento della cooperazione con paesi terzi per il contenimento degli ingressi.

A partire dall’accordo con la Turchia del 2016, si è replicato il medesimo modello con altri stati. Un modello (come quello tra Italia e Libia) la cui caratteristica è sempre più quella di un patto tra capi di governo o ministri, dal difficile controllo politico e giuridico. Poiché gli accordi sfuggono dall’atto formale che passa attraverso l’Europa, per diventare uno scambio tra incentivi economici da una parte e chiusura delle frontiere e respingimenti dall’altra. Una contrattazione tra il dare e avere, a scapito dello ius migrandi.

Approcci securitari

Sin da subito, dal 1986, anno della prima legge in materia migrante, l’Italia ha avuto un approccio securitario e di ordine pubblico rispetto alla gestione del diritto a migrare. Come se quel vuoto quarantennale, dal tempo fascista, in cui la disciplina era affidata al Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, abbia marchiato per sempre l’orientamento politico del fenomeno.

Così, ancora oggi, come durante il fascismo, la competenza del rilascio del permesso di soggiorno rimane in mano alle autorità di pubblica sicurezza, senza mai diventare una pratica amministrativa.

Straniera, in Italia, è persona soggetta a controlli e contenimento, il cui ingresso per diverso tempo è permesso solo se funzionale a ricoprire vuoti di manodopera richiesti. Straniera è la persona che ricopre lavori poco qualificati e di bassa specializzazione, sottopagati; che si può espellere se perde l’occupazione, perché la sua permanenza è utilitaristica al sistema, la sua condizione è altra rispetto al diritto alla cittadinanza, è condizione migrante.

Non a caso, la sua regolarizzazione passa attraverso lo strumento delle sanatorie, canali che fanno emergere chi è già nel paese, sanando la posizione di irregolarità e dimostrando quanto sia irrazionale il meccanismo del rifiuto del permesso di lavoro a chi già è presente o disoccupato e aspetta la periodica finestra della sanatoria per poter veder riconosciuto il suo stare in Italia. Dal 1982 al 2002 sono state 7 le sanatorie, con la conseguente regolarizzazione di oltre 1 milione e 800mila cittadini stranieri.

Irregolare è nemico

Straniero irregolare equivale, in Italia, a un nemico esterno, pericoloso criminale cui imputare la mancanza di propri diritti o della propria precarietà (è colui che ruba il lavoro) e insicurezza; è soggetto protagonista di un montare di veleno che abita i discorsi politici, funzionali al consenso. Veleno che porta a far nascere una neolingua, che ribalta il senso delle parole; che distorce i sentire, che racconta di crimmigration, taxi del mare, invasioni, difesa dei confini. Con un crescente propagarsi dei discorsi d’odio che fanno sì che quello che era lo slogan di una parte politica ben definita, “prima gli italiani”, diventi opinione pubblica diffusa e comporti un crollo del senso comune morale, che si accompagna con un disprezzo del diritto.

Straniero è chi nasce o cresce in Italia, senza avere diritto a diventare cittadino o cittadina, nonostante la nazionalità riconosciuta dal documento di identità è un’appartenenza che non sente né conosce. Perché una legge, vecchia di vent’anni, stabilisce che la richiesta della cittadinanza italiana non può avvenire prima del compimento dei 18 anni e prevede, come prerequisiti, un reddito minimo determinato e un alloggio con parametri igienicosanitari stabiliti. In barba a un articolo 3 della Costituzione che sancisce un’eguaglianza senza distinzioni sociali ed economiche.

Straniero è quello studente o studentessa che finisce le medie e viene orientato, la maggior parte delle volte, verso l’istituto professionale o tecnico, per il frutto di una “segregazione” che arriva dagli insegnanti o di un’”autosegregazione” che deriva dalla famiglia; che se arriva già troppo cresciuto, viene respinto dal sistema scolastico, perché troppo indietro per essere inserito in prima media, ma troppo piccolo per i Cpia, i centri per istruzione degli adulti dove si accede dai 16 anni in su. Straniero è colui o colei che spesso cresce in quartieri ghetto, dove la quota del “non più del 30% di alunni stranieri” per classe non viene rispettata.

Straniero è chi, comunque privo di diritti, diventa alibi per una mancanza di diritti più ampia di cui diventa capro espiatorio. È quel cittadino migrante che, con la sua sola presenza, ci racconta quanto la difesa di un’identità civile e democratica nei nostri ordinamenti passi attraverso la rivendicazione di un’eguaglianza estesa e plurale dei diritti.

 

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