Dall’oro insanguinato all’oro “responsabile” - Nigrizia
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Rapporto The Sentry
Dall’oro insanguinato all’oro “responsabile”
Il traffico del prezioso minerale è una delle principali cause di conflitti in paesi come Sudan, Sud Sudan, Centrafrica e Rd Congo. Un recente studio dell’organizzazione investigativa statunitense suggerisce le misure da attuare per ridurne il commercio illegale e tutelare i minatori artigianali
11 Marzo 2021
Articolo di Bruna Sironi
Tempo di lettura 6 minuti
Donne cercatrici d'oro

Il traffico d’oro dai paesi dell’Africa Centrale e Orientale è al centro anche dell’ultimo rapporto di The Sentry (La Sentinella), il gruppo investigativo dell’organizzazione americana Enough! che ha come obiettivo quello di svelare i flussi di denaro che finanziano i conflitti.

Conflict gold to responsible gold. A roadmap for companies & governments (Da oro insanguinato a oro responsabile. Un piano d’azione per società e governi) è il seguito del rapporto Understanding money laundering risks in the conflict gold trade (Capire il rischio di riciclaggio di denaro nel commercio dell’oro da paesi in guerra) e si propone di suggerire ai diretti interessati le misure necessarie per ridurre – eliminare nella situazione attuale è impossibile, dice il documento – il traffico illegale del prezioso metallo.

Anche in questo rapporto viene presa in considerazione la produzione di quattro paesi – Sudan, Sud Sudan, Repubblica Centrafricana e Repubblica democratica del Congo – particolarmente ricchi in risorse aurifere e devastati da conflitti causati e fomentati in parte, in alcuni casi in gran parte, proprio dal prezioso minerale. Si tratta di un giro di affari annuo stimato in 4 miliardi di dollari, originato in gran parte da traffici illegali.

L’oro arriva sul mercato internazionale contrabbandato attraverso altri paesi della regione, e precisamente Uganda, Kenya, Ciad, Camerun, Rwanda e Burundi, da dove poi viene esportato per il 95% a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, uno dei più importanti mercati internazionali del metallo. Da Dubai l’oro è commercializzato nel resto del mondo.

Non ci sono dubbi che il traffico d’oro sia una delle cause dei conflitti senza fine della regione. Ad esempio, secondo il rapporto di un gruppo di esperti incaricati dall’Onu di monitorare la situazione nella Rd Congo, ogni anno ne sono contrabbandati fuori dai confini del paese dalle 10 alle 20 tonnellate, per un valore che va dai 300 ai 600 milioni di dollari, che finiscono nelle tasche degli oltre 120 gruppi armati che si contendono il territorio per sfruttarne le risorse. 

Estrazione su piccola scala

L’altro aspetto preso in considerazione è la modalità dell’estrazione del metallo nei quattro paesi oggetto del rapporto. Una parte rilevante è estratto da centinaia di migliaia di uomini, donne spesso minorenni, minatori artigianali o ad un livello appena superiore di organizzazione, definito come estrazione su piccola scala. Si stima che siano almeno 250mila nella sola Rd Congo.

Si tratta di lavoratori particolarmente indifesi di fronte ai soprusi di bande armate, di milizie, di reparti dell’esercito regolare, di commercianti senza scrupoli e anche di funzionari governativi corrotti. Ѐ in gran parte dallo sfruttamento, molto spesso violento e criminale, del loro lavoro che ha origine il traffico illegale dell’oro che finanzia conflitti e instabilità in tutta la regione.

La pandemia di Covid-19 ha contribuito ad aggravare la già gravissima situazione di queste comunità perché le ha rese ancor più vulnerabili alla fluttuazione del prezzo dell’oro e conseguentemente allo sfruttamento di chi ne gestisce il traffico illegale.

Costruire una filiera etica

Ma è possibile anche costruire una filiera di commercio responsabile del prezioso metallo che deve e può partire dalla difesa dei diritti di questi minatori e dalla protezione del loro lavoro. Ѐ una filiera che sta faticosamente emergendo anche nell’Africa Orientale, grazie a un’aumentata conoscenza e sensibilità internazionale e anche a provvedimenti che, negli ultimi anni, hanno cambiato sensibilmente il panorama del settore, sia nei paesi produttori che in quelli di destinazione.

Ad esempio, il governo di transizione in Sudan, che ha ripreso il controllo della più importante zona di produzione, il Jebel Amir nel Darfur settentrionale, si è posto l’obiettivo di regolamentare il settore che precedentemente era gestito quasi completamente in modo privato e sommerso. La produzione del Jebel Amir era controllata dalla compagnia El Junaid, cui la banca nazionale aveva garantito il monopolio.

La compagnia era legata alla famiglia del generale Mohamed Hamdan Dagalo, conosciuto come Hemetti, vicepresidente del Consiglio Sovrano e comandante delle Forze di intervento rapido (Rsf), accusate di gravi abusi sulla popolazione civile. Secondo voci credibili diffuse a Khartoum, Hemetti sarebbe diventato uno degli uomini più ricchi e potenti del paese, proprio grazie allo sfruttamento dell’oro del Jebel Amir.

Ora il settore, in cui agiscono più di 400 compagnie e circa un milione di individui, è monitorato dalla Società mineraria sudanese (Sudanese company for mineral resources), istituzione di diritto pubblico che riserva una parte significativa del proprio budget annuale per la realizzazione di progetti di sviluppo, di cui sono beneficiarie soprattutto le comunità dei minatori su piccola scala. Secondo dati diffusi dall’istituzione, il Sudan ha estratto l’anno scorso 36,6 tonnellate d’oro, 9,6 più dell’anno precedente, diventando il secondo produttore in Africa e il nono nel mondo.

Imporre standard di controllo ai paesi destinatari

Per quanto riguarda i paesi di destinazione, la Cina, che è il maggior consumatore d’oro dal 2013, ha cominciato nel 2015 a introdurre regolamenti nel settore, come un audit per le raffinerie basato su standard internazionali. Non tutti i provvedimenti decisi sono già attuati pienamente, ma il passo avanti verso un controllo della legalità dell’approvvigionamento d’oro è certamente significativo.

Non altrettanto si può dire della Svizzera che raffina il 70% di tutto l’oro estratto annualmente nel mondo. Ѐ il terzo paese destinatario anche per il minerale in partenza da Dubai. Secondo dati dell’Onu, nel 2018 ne ha importato 58 tonnellate, per un valore di  2,4 miliardi di dollari. Ma non ha finora imposto standard alle raffinerie, tanto che, in un documento ufficiale, il governo svizzero ammette di non poter assicurare che l’oro lavorato nel paese provenga da un filiera completamente legale.

Infine, il rapporto elenca alcune condizioni imprescindibili per sostenere il commercio legale del prezioso minerale. Alcune riguardano una legislazione più stringente che garantisca pene sicure e severe per chi traffica oro estratto in zone di conflitto. In particolare il rapporto si appella agli Emirati Arabi Uniti perché rafforzino la loro legislazione sul commercio del metallo e ne curino l’applicazione. Di grande importanza è anche un’armonizzazione delle tasse nei paesi della regione, per scoraggiare il contrabbando del metallo.

Sostegno ai minatori artigianali

Ma la raccomandazione forse più significativa, riguarda il sostegno ai minatori su piccola scala che devono godere di una legislazione che favorisca i diritti di proprietà e di associazione. I governi e le raffinerie dovrebbero anche adottare il codice Craft (Code of risk mitigation for artisanal and small-scale miners engaging in formal trade) sviluppato grazie ad un progetto della European partnership for responsible minerals (Eprm) in modo da controllare la filiera del metallo e incentivare in modo significativo quello che proviene direttamente dai piccoli produttori.

Solo un lavoro coordinato dei governi della regione, della comunità internazionale e dei principali attori del settore potrà garantire un cambiamento significativo nel commercio dell’oro, contribuendo alla stabilizzazione dei paesi interessati e alla riduzione della povertà delle comunità dei minatori su piccola scala. Ѐ certamente un obiettivo di media e lunga durata, per il raggiungimento del quale è però importante, e conveniente, investire.

 

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