La gente del Nord Kivu, nel nordest della Repubblica democratica del Congo, non ne può più dei gruppi armati che imperversano nella regione e di vivere nell’insicurezza. Per questo la società civile – nonostante le manifestazioni siano state vietate dal governatore della provincia – ha avviato il 5 aprile una mobilitazione per far sì che il governo di Kinshasa prenda in mano la situazione.
Le manifestazioni, come quella in corso questa mattina nella città di Beni, chiedono la smobilitazione delle forze Onu (Monusco, presenti nell’area da più di 20 anni) perché giudicate inefficaci.
Secondo il movimento Lucha (Lotta per il cambiamento) lo stato congolese deve smetterla di nascondersi dietro la Monusco ed esercitare le sue prerogative anche attraverso un miglior utilizzo dell’esercito.
Le decine di gruppi armati che mantengono il nordest in una condizione di instabilità – lo scorso febbraio è stato ucciso non lontano da Goma, capoluogo del Nord Kivu, l’ambasciatore italiano Luca Attanasio – sono funzionali a operazioni di sfruttamento illegale delle miniere dei minerali strategici (coltan in testa) di cui è ricca questa regione.
Operazioni che coinvolgono soggetti economici (imprese artigianali e multinazionali) e che si avvalgono della complicità di alti gradi dell’esercito congolese e della “supervisione” di paesi confinanti, come il Rwanda