Cancelliamo quel Memorandum con la Libia - Nigrizia
Libia Migrazioni Politica e Società
L'editoriale di maggio 2021
Cancelliamo quel Memorandum con la Libia
01 Maggio 2021
Articolo di Filippo Ivardi Ganapini
Tempo di lettura 4 minuti
Draghi_Dbeibah
Il premier Mario Draghi con il suo omologo libico Abdel Hamid Mohamed Dbeibah

Se davvero vogliamo fare memoria, cominciamo da lontano. Da quel 1911 in cui l’Italia mette le mani sulla Libia e inizia un dominio coloniale accompagnato da atrocità commesse dai governi Giolitti e Mussolini.

Il primo, per rappresaglia dopo l’attacco turco-arabo del 23 ottobre 1911, fa giustiziare almeno 4mila arabi; il secondo attraverso impiccagioni, fucilazioni e deportazioni uccide oltre 100mila libici. Storia che ignoriamo e che riaffiora, con inevitabile evidenza, nelle sensibilità dei rapporti tra le due sponde del Mediterraneo. Pensiamo davvero che i libici, con questa storia alle spalle, si fidino di noi italiani?

Mario Draghi è stato tra i primi capi di governo occidentali a volare a Tripoli, ai primi di aprile, per incontrare le nuove autorità libiche del governo di transizione. I suoi obiettivi erano riaprire la strada degli affari all’Eni e alle imprese italiane, che si tuffano nel business della ricostruzione, e arginare il flusso di migranti sulla rotta del Mediterraneo centrale, più che raddoppiato da un anno a questa parte (+122%).

Nel marasma dei riposizionamenti strategici sulla Libia, il 18 aprile scorso è stato il turno del viaggio della ministra dell’interno Luciana Lamorgese che, seppur in modo felpato, porta avanti la stessa politica razzista dell’ex ministro Matteo Salvini, fondata sull’esternalizzazione delle frontiere e sui respingimenti. Politica voluta da Bruxelles.

Scopo della sua visita: rivedere le condizioni per il rinnovo del criminale Memorandum d’intesa Italia-Libia, firmato dal ministro Marco Minniti nel febbraio del 2017 e che prevede il finanziamento, il supporto tecnologico e la formazione delle guardie costiere libiche. Milizie armate al soldo di alcune famiglie, che si spartiscono il territorio e il lucroso traffico dei migranti, detenuti in veri e propri lager.

Guardie, responsabili di aver riportato a Tripoli, porto non sicuro per molti rappresentanti delle agenzie dell’Onu, oltre 50mila migranti nei quattro anni da cui è in vigore il Memorandum. Per questo l’Italia si è fatta complice di arresti arbitrari, torture, rapimenti e anche di mancati soccorsi, con migliaia di affogati nel Mediterraneo.

Mentre oggi, con immensa ipocrisia, la nostra ministra rivendica garanzie del rispetto dei diritti umani, libero accesso delle organizzazioni umanitarie nei centri di detenzione e la ripresa dei corridoi umanitari. Senza dimenticare che Draghi, nella sua visita, aveva lodato quei “salvataggi”.

Il Memorandum è assolutamente da stracciare! Ne va della vita stessa dei migranti, “carne di Cristo” nel Mediterraneo, come li chiama papa Francesco.

Chiediamo alla Conferenza episcopale italiana di alzare la voce, di seguire papa Francesco nel suo grido profetico a protezione dei migranti e di opporsi a questo crimine, come ha avuto il coraggio di fare don Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo, ad inizio anno, parlando dei respingimenti dei migranti in Libia: «Il nostro paese prenda le distanze da queste barbarie perché il 2021 si apra nel segno di una nuova, reale riflessione che conduca presto a un cambiamento nella condivisione delle regole europee».


Riposizionamenti strategici: dopo la fine della guerra per procura, con tanti attori internazionali coinvolti e alleati dei due campi in conflitto, Turchia e Russia, e la firma degli accordi di Ginevra nell’ottobre 2020, la Libia è entrata in un processo di ricostruzione politica ed economica che deve portare alle elezioni del prossimo 24 dicembre.

Molti governi internazionali si stanno muovendo per incontrare le nuove autorità libiche e per ridisegnare la mappa dei loro interessi in una terra ricchissima di petrolio e gas. In molti arrivano a Tripoli per trattare ma Turchia e monarchie del Golfo attendono che facciano il biglietto le stesse autorità libiche.

A testimonianza che chi conta davvero, in Libia, è presente da tempo e non modifica facilmente la presenza dei propri mercenari, mezzi e investimenti se non dopo aver firmato, a casa propria, accordi commerciali ancora più vantaggiosi.

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