Era una persona seria, Gino Filippini. E questo lo si era capito. A 28 anni, nel 1967, è partito come volontario per il Burundi: «L’impatto mi segnò così profondamente da indurmi a rimettere in gioco tutto; mi chiedevo qual era il senso da dare alla mia vita, che cos’era davvero importante realizzare e come».
Dopo 40 anni in Burundi, Rwanda, Rd Congo e Kenya, è morto nel 2008 nella sua casa di Rezzato (Brescia). Questa raccolta di suoi scritti aiuta a comprendere quali sono le ragioni che lo hanno spinto e sostenuto. Le sintetizza lui stesso: «Le risposte vennero pian piano a orientarmi la strada: “camminando si apre il cammino”, dice un proverbio brasiliano. Sono passati quarant’anni e sto ancora camminando.
L’Africa mi ha condotto a un servizio verso le categorie più sfavorite. È in questo contesto che la mia vita ha preso il suo significato. (…) L’Africa non ha tradito le attese, anzi ha contribuito ad allargare gli orizzonti della mia vita, ad approfondirne il significato aprendola al servizio degli altri, a quelli che si sono persi nelle retrovie della vita e della storia, per aiutarli a recuperare forza, dignità, speranza.
Ma è una missione che non finisce mai: ed è per questo che continua anche oggi e continuerà finché Dio me ne darà la forza». Alex Zanotelli, che ha condiviso con Gino la vita nelle baraccopoli di Nairobi, lo ringrazia così: «Grazie per la tua amicizia, il tuo valore, la tua lucidità. Grazie per la tua umiltà e il tuo non protagonismo».