Una quindicina di leader africani, diversi alti funzionari europei e una dozzina di rappresentanti di organizzazioni internazionali si sono dati appuntamento a Parigi, il 18 maggio, per esaminare lo stato di salute delle economie africane alla luce della crisi pandemica e dell’escalation del debito.
Filantropia o semplice operazione cinica trainata dalla Francia per dominare meglio il continente e contrastare l’avanzata della Cina? Secondo molti analisti il vertice dedicato al salvataggio delle economie africane è un tentativo di riposizionare la Francia in Africa approfittando del notevole calo degli investimenti cinesi in questi ultimi anni.
Parigi sta cercando inoltre di spostare gradualmente l’orbita della sua diplomazia e delle sue società verso l’est del continente. Il giorno prima del vertice infatti, Macron ha cancellato il debito del Sudan (5 miliardi di dollari) mentre aiutava il paese a saldare i suoi arretrati con il Fondo monetario internazionale (Fmi) concedendogli un prestito ponte di 1,5 miliardi di dollari.
Il debito soffoca la ripresa
Le Afriche sono afflitte da una disastrosa crisi economica aggravata dal Covid, violazioni di diritti umani e continui conflitti in varie aree, come dimostra, in questi ultimi mesi, l’aumento dei flussi migratori dentro e fuori il continente. La disoccupazione galoppa, le esportazioni verso i paesi occidentali sono crollate, anche in seguito alla caduta del prezzo del petrolio negli ultimi anni, mentre il costo dei beni di prima necessità schizza alle stelle sui mercati africani. Da qui le proteste che imperversano su diverse piazze africane.
Tuttavia, per i prossimi anni è prevista una ripresa dell’economia: 3,2% per il 2021 (rispetto al 6% nel resto del mondo) e 4% nel 2022, dopo la recessione dello scorso anno. La moratoria sul debito, decisa dal G20 nell’aprile del 2020 ed estesa fino a giugno di quest’anno, ha dato un po’ di respiro ai paesi più in difficoltà.
L’anno scorso, al culmine della pandemia, il Fmi ha calcolato che l’Africa avrebbe potuto affrontare un deficit di finanziamento complessivo di 290 miliardi di dollari entro il 2023 ma una ripresa sostenibile del continente richiede la soluzione del problema ricorrente del finanziamento della sua economia, altrimenti la spirale del debito rischia di affossare paesi ormai sull’orlo della bancarotta, come Sudan, Zambia, Kenya.
Il debito degli Stati africani, che si attesta attorno ad una media del 58% del Prodotto interno lordo (Pil) è aumentato di sei punti percentuali rispetto all’anno precedente e ai suoi massimi livelli negli ultimi vent’anni, anche se si mantiene generalmente inferiore rispetto a quello dei loro omologhi occidentali.
Per il momento non si intravedono altre soluzioni lungimiranti all’orizzonte di vertici in cui trionfa l’indiscussa dittatura della finanza e sul piatto resta comunque un debito pesante da rifinanziare. “Non si muore di debito ma dell’impossibilità di rifarlo” scriveva anni fa il romanziere francese Louis Ferdinand Celine.
Citando il Fmi, il ministro delle finanze francese, Bruno Le Maire, ha affermato, con preoccupazione, il 27 aprile scorso: «La crisi ha colpito tutti i paesi, tutti i continenti, Asia, Europa e Africa. La particolarità dell’Africa è che oggi non ha i mezzi finanziari per proteggere e rilanciare la sua economia come hanno fatto tutti gli altri continenti».
Mentre, infatti, i paesi economicamente più solidi hanno dedicato quasi il 25% della loro ricchezza nazionale per rilanciare la loro economia, questa cifra è appena del 2% in Africa. Per questo il presidente Macron ha parlato di un “New Deal” per l’Africa, facendo riferimento ad un corso storico che di nuovo non ha nulla, in quanto ripercorre lo stesso tragitto delle economie occidentali: iniettare liquidità nei sistemi economici dei paesi coinvolti, ingrossando il debito.
La sua ambizione è quella di raccogliere, insieme agli altri partner occidentali, 100 miliardi di dollari per soddisfare parzialmente le esigenze di finanziamento del continente africano. Nulla, comunque, se paragonati ai 3mila miliardi di cui parlava un anno fa il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, per rimettere in moto non solo le economie ma anche i processi sociali e ambientali, determinanti per un processo di sviluppo integrale del continente.
Mentre per rafforzare la risposta alla pandemia e per garantire almeno un minimo di tenuta del tessuto economico il Fmi, in una dichiarazione alla fine del vertice, stima che fino a 285 miliardi di dollari (233,3 miliardi di euro) di finanziamenti aggiuntivi nel periodo 2021-2025, saranno necessari ai paesi africani.
Tuttavia, la situazione economica del continente dovrebbe essere affrontata in una prospettiva più ampia. Secondo Chicot Éboué, professore di economia all’Università della Lorena, «la preoccupazione della spirale del debito dei paesi africani, come viene considerata in Europa, è esagerata».
Nel 2020 la Francia aveva un rapporto debito pubblico rispetto al Pil pari al 120% del Pil: la quota del debito pubblico sulla ricchezza prodotta dal Paese era quindi 1,2 volte superiore. Secondo Eboué, non si può chiedere ai paesi africani, che hanno un rapporto del debito pubblico rispetto al Pil vicino al 50%, di non indebitarsi per sostenere le proprie economie, mentre si trovano ad affrontare una micidiale pandemia che costringe a rallentare l’attività economica. Devono finanziare il loro sviluppo e le loro infrastrutture se vogliono stare in piedi.
Del resto l’Africa non ha i mezzi per lanciare un piano di ripresa post Covid come quello degli Stati Uniti (2mila miliardi di dollari) o dell’Unione Europea (750 miliardi di euro). Alla fine del vertice, i partecipanti non hanno annunciato un deciso impegno comune su questo piano finanziario, ma hanno promesso di impegnarsi in accordi sui Diritti speciali di prelievo (Dsp) del Fondo monetario internazionale.
Il Fmi e i suoi Dsp
La Francia propone di concedere all’Africa il beneficio di Diritti speciali di prelievo (Dsp) del Fondo monetario internazionale, strumenti di cambio che consentono in particolare di finanziare le importazioni. Si tratta di strumenti, impropriamente chiamati valuta, che il Fmi può emettere sotto forma di assegni convertibili in dollari, che tengono conto del peso specifico dei paesi e dei loro contributi alle risorse del Fmi.
183 paesi membri del Fmi riceveranno un totale di Dsp equivalenti a 650 miliardi di dollari. L’Africa ha globalmente diritto a 33 miliardi di dollari di questo importo, di cui 24 per l’Africa subsahariana. Ma questo è ovviamente insufficiente per finanziare la ripresa economica a livello continentale, e per soddisfare i fabbisogni stimati dal Fmi tra i 250 ei 425 miliardi di dollari per il periodo 2021-2025. Da qui l’idea lanciata dal presidente Macron per consentire ai paesi, che non ne hanno bisogno, di riallocare i propri Dsp in Africa.