Ieri sera, 24 maggio, ancora un “tentativo di colpo di forza”: a soli nove mesi dal colpo di Stato militare, il presidente Bah N’Daw e il suo primo ministro di transizione, Moctar Ouane, sono stati costretti dai soldati a seguirli nel campo militare di Kati, città guarnigione, a 15 km dalla capitale Bamako.
Subito, la comunità internazionale ha condannato con fermezza l’azione. La missione delle Nazioni Unite in Mali (Minusma), l’Unione africana, così come la Cedeao (Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale), l’Unione europea e gli Stati Uniti chiedono la liberazione immediata e senza condizioni dei due uomini.
L’arresto avviene poche ore dopo un rimpasto di governo (che si era fatto attendere 10 giorni) che ha esonerato due colonnelli dell’esercito, ora accusati di essere all’origine del colpo di forza – Sadio Camara, ministro della difesa, e il colonnello Assimi Goita, vicepresidente della transizione e leader della giunta ufficialmente sciolta, che avevano preso parte al colpo di stato dello scorso anno che aveva deposto il presidente Ibrahim Boubakar Keïta ‒, rimpiazzati da due generali dell’esercito: Mamadou Lamine Ballo, nominato alla sicurezza e alla protezione civile, e Souleymane Doucouré, un pilota molto rispettato dalla truppa, nominato nuovo ministro della difesa.
La società civile si ritrova ancora una volta presa in trappola: ha gioito per l’uscita di scena di Keïta, il 18 agosto 2020, per ritrovarsi oggi prigioniera del volere dei militari che promettono riforme, certo, salvo poi non realizzarle.
Da ricordare che un tentato colpo di stato, nel 2012, da parte di militanti islamisti che sfruttavano l’instabilità del paese e che si erano impadroniti della parte nord del paese, aveva provocato l’intervento delle truppe francesi che avevano ripreso il territorio del nord. Ma da allora gli attacchi jihadisti non sono mai terminati. Anzi, si sono intensificati negli ultimi anni.
Il colpo di forza di oggi risulta incomprensibile ai 20 milioni di maliani che ancora una volta si ritrovano ostaggio dei militari. Vorrebbero che la Cedeao (per oggi è atteso a Bamako il mediatore dell’organismo nella crisi maliana, l’ex presidente nigeriano Goodluck Jonathan, con una delegazione) usasse con i militari più il bastone che la carota.
Anche il Comitato locale di implementazione della transizione, composto dai rappresentanti della comunità internazionale in Mali, esige «la liberazione immediata e senza condizioni» delle autorità della transizione. E ricorda che le elezioni sono già fissate per fine febbraio-marzo 2022.
«Sono profondamente preoccupato dalle informazioni sull’arresto dei dirigenti incaricati della transizione in Mali», così si è espresso il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres. Il capo della Minusma, El Ghassim Wane, in visita nel centro del paese, è rientrato subito a Bamako.
Certo, però, che se non si arriva a porre un termine all’impunità delle azioni dei militari, liberi di uscire quando vogliono dalle caserme per immischiarsi nella politica del paese, il Mali, povero paese dell’Africa occidentale, non ritroverà facilmente pace e stabilità.