È l’una e mezza del mattino del 26 luglio. Kais Saied, il presidente tunisino, cammina lungo Avenue Bourguiba, ripreso dalle telecamere, scortato ma in mezzo a una folla che lo acclama mentre si dirige verso il ministero dell’interno.
Fino a pochi giorni fa queste immagini sarebbero state impensabili. Eppure alcuni attenti osservatori della scena politica tunisina da mesi avvertivano sul fatto che la paralisi politica potesse evolvere verso uno scenario imprevedibile. C’è chi temeva l’arrivo al governo del Partito desturiano libero di Abir Moussi, primo nei sondaggi e apertamente nostalgico dell’epoca benalista.
Invece è colui che si è definito “il difensore della rivoluzione” a forzare la mano mandando a casa parte del governo (primo ministro Hichem Mechichi, ministri della difesa e della giustizia) e bloccando le attività del parlamento in nome dell’articolo 80 della Costituzione del 2014. Che recita: “In caso di pericolo imminente e di minaccia per l’integrità dello Stato […], il presidente della Repubblica è autorizzato a prendere misure eccezionali”, senza specificare però quali.
“Queste misure devono garantire il ritorno al normale funzionamento dei poteri pubblici”, continua il testo. A validare le azioni di Saied e garantire il normale funzionamento dei poter pubblici dovrebbe esserci una Corte Costituzionale, corte che i tunisini l’attendono dal 2014 (l’anno di promulgazione della nuova Costituzione post rivoluzione) ma che non è mai stata nominata.
Così Kais Saied ha deciso di congelare le attività del parlamento per trenta giorni ed eliminare l’immunità parlamentare garantita ai deputati, schierando l’esercito di fronte alla sede dell’Assemblea dei rappresentanti del popolo.
Provvedimenti “nulli”
Il partito di Ennahdha, partito di maggioranza guidato dal leader Rached Ghannouchi, ha subito puntato il dito contro Saied, accusando la presidenza di un colpo di stato, chiedendo ai “difensori della rivoluzione” di insorgere. Secondo i suoi parlamentari tutte le decisioni annunciate dal presidente tunisino sono “nulle” perché «vanno contro la Costituzione e persino l’articolo 80, che è stato mal interpretato».
Lo ha dichiarato in una nota l’ufficio di presidenza del Parlamento tunisino, a conclusione di una videoconferenza presieduta da Ghannouchi. Il Parlamento, si legge nella nota, resterà «in riunione permanente a causa di una situazione particolarmente delicata» e invita «le forze dell’ordine e l’esercito a stare al fianco del popolo tunisino, proteggere la Costituzione, sostenere lo stato di diritto e preservare il prestigio dello Stato e delle istituzioni».
Questa mattina Ghannouchi si è addirittura recato in parlamento per “continuare i lavori”. Ma l’entrata era bloccata dai militari. La popolazione tunisina, stremata da settimane di crisi sanitaria dovuta alla quarta ondata di pandemia da Covid-19, è scesa in piazza non contro Saied, ma per sostenere la mossa del presidente.
Già durante la giornata del 25 luglio, 65ª festa della Repubblica, i manifestanti avevano espresso il loro dissenso contro il governo, attaccando anche le sedi di Ennahda in diverse città come Tozeur, Kairouan, Sousse e Sidi Bouzid e chiedendo (a Tunisi) la dissoluzione del parlamento.
La peggiore crisi
Alla crisi economica e a quella sanitaria – la Tunisia continua a registrare un numero di contagi preoccupante, mentre solo il 7% della popolazione ha avuto accesso alla vaccinazione – si è sommata una crisi politica portata all’estremo.
Se il paese è arrivato alla notte del 25 luglio e alle dichiarazioni di Saied è anche perché da mesi il braccio di ferro tra i tre presidenti (quello della Repubblica; quello del parlamento, Rached Ghannouchi; e quello del governo, Hichem Mechichi) ha impedito il normale funzionamento delle istituzioni, proprio nel momento in cui la Tunisia avrebbe avuto bisogno di gestire la peggiore ondata di Covid-19 da marzo 2020.
Mentre le posizioni del presidente e quelle del leader di Ennahdha sono contrapposte da tempo, Kais Saied da gennaio 2021 si rifiuta di accettare le nomine dei ministri scelti dal premier Hichem Mechichi (a capo di un governo tecnico) perché accusati di corruzione, impedendo quindi che il governo presti giuramento. La gestione catastrofica della quarta ondata aveva già portato alle dimissioni del ministro della sanità il giorno dell’Eid el-Adha.
Da oggi, ha comunicato Saied, anche il ministro della difesa e quello della giustizia devono lasciare il governo, così come il premier Mechichi (che lui stesso aveva nominato). Saied s’impadronisce così del potere esecutivo e sarà assistito nelle prossime settimane da un nuovo primo ministro, mentre governerà via decreto.
«Sento un mix tra gioia di esserci liberati di un governo corrotto e pericoloso e paura di quello che sta per accadere», racconta Talel, che ieri è sceso in piazza tra i manifestanti per festeggiare la fine del governo Mechichi. La Tunisia si è svegliata divisa questa mattina tra chi accetta il termine di colpo di stato e teme un ritorno al passato e chi invece continua ad avere fiducia in un presidente che mantiene il 40% di popolarità secondo l’ultimo sondaggio Sigma Conseil.