Néji Hefiane, un nuovo Mohamed Bouazizi. Aveva 26 anni. È morto sabato in un ospedale della periferia sud di Tunisi. Si è dato fuoco giovedì 2 settembre davanti alla sua famiglia. Un gesto dettato dalla disperazione per le condizioni sociali difficili e per il tradimento dello stato.
«Sono state l’ingiustizia e l’emarginazione che ha subito a spingere mio figlio a togliersi la vita», il commento di suo padre disperato.
Néji viveva a Intilaka, uno dei quartieri popolari di Tunisi dove ci sono state manifestazioni violente durante la rivolta popolare tra dicembre 2010 e gennaio 2011. Lui all’epoca aveva 16 anni e durante una manifestazione è stato colpito alla testa. Da allora, non ha ricevuto alcun aiuto dalle autorità e si sentiva completamente ignorato anche se il suo nome era nell’elenco ufficiale dei feriti della rivoluzione, rivela sconsolata la sorella Zohra.
Un gesto il suo che ricorda molto quello di Mohamed Bouazizi, il venditore ambulante che si è dato fuoco il 17 dicembre 2010, scatenando la rivoluzione tunisina che ha posto fine al regno del presidente Zine el Abidine Ben Ali e dato il via alle rivolte della Primavera araba in altri paesi della regione.
Un mese fa il padre di Néji aveva inviato una lettera al presidente Kais Saied spiegando la situazione del figlio e chiedendogli di intervenire per aiutare la sua famiglia in grande difficoltà economica. Ma non ha ricevuto alcuna risposta.
L’avvertimento degli ambasciatori del G7
La situazione nel paese è davvero critica. Si accumulano tensioni politiche e sociali. Ieri gli ambasciatori dei paesi del G7 in Tunisia hanno scritto al presidente Saied affinché indichi in maniera chiara i prossimi passi dopo la decisione del 25 luglio scorso di licenziare il premier Hichem Mechichi e di congelare i lavori del parlamento, prima per 30 giorni, in seguito «fino a nuovo avviso».
«Noi, gruppo dei Sette, riaffermiamo il nostro impegno costante di partenariato con la Tunisia, perché sviluppi le strutture politiche e socioeconomiche necessarie per rispondere alle legittime richieste del suo popolo a un miglior tenore di vita e una governance onesta, efficace e trasparente» scrivono in una nota congiunta. «Chiediamo un rapido ritorno all’ordine costituzionale, in cui un parlamento eletto svolge un ruolo significativo. Sottolineiamo l’urgente necessità di nominare un nuovo capo del governo per formare un governo capace di affrontare le immediate crisi economiche e sanitarie che affrontano la Tunisia, creando spazio per un dialogo inclusivo sulle proposte di riforme costituzionali ed elettorali». «Man mano che questo processo prende forma, chiediamo il continuo impegno pubblico e il rispetto di tutti i diritti civili, politici, sociali ed economici tunisini, nonché dello stato di diritto. Prima il presidente Kais Saied potrà trasmettere un chiaro senso della strada da percorrere che risponde alle esigenze del popolo tunisino, prima la Tunisia potrà concentrarsi nell’affrontare le sfide economiche, sanitarie e sociali che il paese si trova di fronte».
La posizione di Ennahda
Una posizione netta, che spinge il presidente ad assumersi le sue responsabilità e a non restare nel guado costituzionale. Lo stessa partito islamista Ennahda, il cui vertice si è riunito sabato 4 settembre per la prima volta dopo la rivoluzione dei quadri, si è espresso nella stessa direzione degli ambasciatori. «Il paese è in uno stato di incertezza dopo le eccezionali misure incostituzionali adottate dal presidente. Misure eccezionali che hanno causato un’interruzione del lavoro dell’autorità legislativa del paese e del suo ruolo di monitoraggio. Il paese rimane senza governo e in assenza di ogni visione e di una data per un’uscita da questa situazione aumentano i rischi di governance unilaterale».
Parole di timore. Ma che non incidono nella vita quotidiana dei tanti Néji tunisini.