Anche le realtà della società civile possono accedere ai luoghi di trattenimento dove sono reclusi i cittadini stranieri irregolari. Lo afferma, con una sentenza scritta lo scorso 24 agosto, la terza sezione del Tar di Palermo. Il tribunale amministrativo conferma il diritto di ingresso di realtà non solo istituzionali, accogliendo il ricorso dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), che si era opposta al diniego di ingresso di una propria delegazione presso l’hotspot di Lampedusa. Diniego espresso dal ministro dell’interno e dalla prefettura di Agrigento.
Il Tar, si legge nel comunicato, «accoglie pienamente le difese di Asgi, affermando che “limitare il diritto di accesso alle sole organizzazioni internazionali, ovvero a quelle con cui il ministero abbia stipulato specifici accordi, integrerebbe un’ingiustificata elusione del principio di trasparenza dell’azione amministrativa condotta all’interno dei luoghi di trattenimento dei migranti”».
L’associazione incassa così una seconda vittoria, ristabilendo un precedente importante, espresso da un’altra sentenza, quella del Tar di Palermo che, nell’ottobre dello scorso anno, aveva accettato un altro ricorso contro un analogo rifiuto riguardo l’accesso presso il Centro per il rimpatrio (Cpr) Pian del Lago di Caltanissetta.
Una vittoria non da poco, che mette nero su bianco il diritto di ingresso a quei luoghi di detenzione amministrativa, dove vengono trattenuti i cittadini stranieri irregolari. Luoghi da sempre inaccessibili, qualsiasi sia la loro sigla Cpr, Cas (Centro di accoglienza straordinaria) o hotspot, e che ora, si sentenzia, possono essere visitati non solo dagli organismi istituzionali previsti dalla legge (Unhcr, Oim, Garante nazionale delle persone detenute, ecc.), ma anche da realtà riconosciute che fanno parte della società civile.
La storia dei dinieghi all’accesso delle strutture in cui vengono rinchiusi i cittadini stranieri è storia decennale. Era il 2011 quando iniziava la campagna LasciateCIEntrare, che aveva l’obiettivo di contrastare una circolare dell’allora ministero dell’interno, con cui si vietava l’accesso agli organi di stampa negli allora Cie (Centri di identificazione ed espulsione) e Cara (Centri di accoglienza per richiedenti asilo).