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L’Italia bellica
Lo shopping militare, oltre 6 miliardi in armi
In discussione alle Camere le richieste del ministro della difesa Guerini. La spesa è lunghissima. Sorprendono i quasi 2 miliardi per droni. Armi che riempiono le casse delle aziende di settore senza però un ritorno occupazionale adeguato
22 Ottobre 2021
Articolo di Luciano Bertozzi
Tempo di lettura 5 minuti
LUH
La versione da addestramento dell'AW169 LUH, denominata UH-169B, consegnata all'esercito italiano all'inizio del 2020. (Credit: Leonardo)

Oltre 6 miliardi di euro per comprare nuove armi per le Forze Armate. È la richiesta del ministro della difesa Lorenzo Guerini al parlamento per l’ammodernamento delle strutture militari. La lista della spesa riguarda tutte le componenti: esercito, marina, aeronautica e carabinieri.

La lista della spesa

Ed è una spesa lunghissima: tranche di elicotteri multiruolo Light Utility Helicopter (LUH) per i carabinieri, con un costo di 246 milioni di euro; programma pluriennale di ammodernamento e rinnovamento per lo sviluppo di un sistema europeo di aeromobili a pilotaggio remoto (cioè senza pilota): costo di 1.903 milioni; veicoli ad alta tecnologia per la mobilità tattica terrestre dei carabinieri: costo 112 milioni di euro; implementazione, potenziamento e aggiornamento di una capacità di Space situational awareness (SSA), basata su sensori (radar e ottici) e un centro operativo SSA per la conoscenza di oggetti spaziali artificiali: costo di 90 milioni di euro.

E ancora, aggiornamento e completamento della capacità di comando e controllo multidominio delle Brigate dell’esercito italiano: costo di 501 milioni; acquisizione di ulteriori 175 veicoli di nuova generazione VTLM Lince 2 per l’esercito italiano (mezzi ampiamente usati nelle missioni italiane all’estero): costo 385 milioni; ammodernamento e rinnovamento dei sistemi missilistici di difesa aerea navale Principal anti air missile system (PAAMS) e dei radar per la sorveglianza a lunga distanza imbarcati sulle navi Andrea Doria e Caio Duilio: costo di 640 milioni; munizioni a guida remota per le forze speciali.

Infine, ammodernamento, rinnovamento e potenziamento della capacità nazionale di difesa aerea e missilistica a protezione del territorio nazionale e dell’Alleanza atlantica, e a garantire la protezione di teatro alle forze schierate in aree di operazione: costo 2.378 milioni di euro.

Ricadute occupazionali?

In particolare per il progetto LUH, la commissione difesa, nell’approvarlo all’unanimità, si è così espressa: «Dal programma sono attese ricadute economiche e occupazionali nei settori aeronautico, meccanico, dell’elettronica e più in generale dell’alta tecnologia, con il coinvolgimento di oltre 200 realtà nazionali, fornitori e subfornitori, diretti e indiretti, comprese le piccole e medie imprese dell’indotto, i centri di studio e ricerca universitari».

Inoltre anche in altri progetti, fino ad ora tutti approvati all’unanimità dalla commissione, viene enfatizzato il ruolo strategico e di crescita dell’occupazione del settore militare, come nel caso degli aerei senza pilota, per il quale si afferma: «Garantire il sostegno da parte del governo alle aziende del comparto difesa impegnate o potenzialmente impegnabili nel programma, con particolare attenzione alle piccole e medie aziende, al fine dell’accrescimento del know-how nazionale e dell’occupazione in un’ottica di sistema paese».

Missioni all’estero come vetrina per l’export

Preoccupa, tuttavia, che l’uso di armamenti nelle missioni militari all’estero rappresenti una sorta di “vetrina” per facilitare l’export degli ordigni “made in Italy”, così come il coinvolgimento delle università, che a fronte di croniche mancanze di risorse saranno sempre più presenti nel settore della difesa.

Alcuni programmi saranno votati dalla commissione nei prossimi giorni, ma l’approvazione sembra essere scontata.

Sempre in questi giorni, inoltre, il ministro della difesa ha firmato il provvedimento di acquisto di sei aerei P-180 Piaggio, per un importo di 171 milioni di euro.

Fondo investimenti

Da sottolineare che una gran parte dei predetti programmi non è a carico del bilancio del ministero della difesa, bensì del Fondo investimenti, il principale strumento che lo stato utilizza per incentivare il sistema produttivo nazionale. Anche in questo caso si tratta di cifre molto significative: il totale finanziato per gli anni 2019-20 è pari a 10,5 miliardi di euro, di cui il 55% a carico del ministero dello sviluppo economico (Mise) e il 45% a carico di quello della difesa.

Risorse che dimostrano come il sistema paese si basi molto sugli investimenti “armati” nonostante il comparto non rappresenti una parte significativa del sistema produttivo e occupazionale dell’Italia.

Del resto l’industria militare è da sempre in cima agli interessi del potere. Anche il governo Draghi, come i precedenti e come la maggioranza dei parlamenti che si sono succeduti sugli scranni di Montecitorio e Palazzo Madama, ritengono l’industria della difesa un elemento centrale per lo sviluppo dell’economia nazionale e quindi da valorizzare e incrementare. Anche gli stessi 5 Stelle, dall’opposizione erano contrari a tale rafforzamento, mentre hanno modificato atteggiamento da quando sono “governativi”.

Ma a cosa servono tutte queste armi?

Da cosa dobbiamo difenderci? Servono sul serio alle forze armate o acquistarle è solo un modo per sostenere, con soldi pubblici, le aziende produttrici?

L’esperienza fallimentare dell’Afghanistan non ha aperto gli occhi. A Kabul abbiamo dato un miliardo di euro per sostenerne l’esercito, con il risultato che le armi ora sono nelle mani dei talebani.

Non solo non c’è in Italia alcun dibattito pubblico sulla possibilità di convertire il sistema militare verso il settore civile, ma non si discute neppure sull’opportunità di dirottare i fondi pubblici verso servizi essenziali come il sistema sanitario o scolastico o assistenziale.

Da quando al governo c’è il ministro Guerrini la spesa militare è schizzata e non c’è alcuna possibilità, al momento, di un suo ridimensionamento.

 

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