Il 25 ottobre l’annuncio in pompa magna del presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi: «È finito lo stato di emergenza». A suo avviso «l’Egitto è diventato un’oasi di sicurezza e stabilità». Misura adottata con frequenza dal 1967, per trent’anni durante la presidenza di Hosni Mubarak, e reintrodotta l’ultima volta nel 2017 per reazione agli attentati dinamitardi rivendicati dall’Isis contro chiese copte, che causarono decine di morti nell’aprile 2017, e utilizzato sin dal 2014 per estendere senza limiti i poteri presidenziali e legittimare lo stato di polizia dopo il golpe militare del 2013.
Il presidente nella sua dichiarazione entusiastica si è scordato di menzionare, tuttavia, gli oltre 60mila detenuti politici nelle carceri del paese. Detenuti spesso privati di un giusto processo e reclusi senza accuse chiare e puntuali.
Fino a luglio scorso rientrava in questa categoria anche l’avvocata e attivista per i diritti dei lavoratori egiziani, Mahienour el-Masry, rilasciata dopo un lungo periodo. Mahiennour fa parte dei team legali che seguono i principali casi che coinvolgono attivisti e prigionieri politici in Egitto. È a lei che abbiamo posto alcune domande sulla situazione delle libertà personali nel suo paese. In particolare come sono visti in Egitto i casi di Patrick Zaki e Giulio Regeni.
In Italia il caso dello studente dell’Università di Bologna, Patrick Zaki, ha avuto ampia risonanza. Apparentemente ora è accusato per i suoi scritti sui copti in Egitto?
Vorrei spiegare quale legge viene applicata nel caso di Patrick. Una volta arrestato è stato accusato di attentato alla sicurezza dello stato. Di solito, una delle accuse per avere questo tipo di trattamento è legata a essere parte di un gruppo terroristico. Durante il processo, gli hanno stralciato le accuse più pesanti. Ora sta affrontando accuse per reati minori, come la diffusione di notizie false e contro la pace sociale. In questo momento non viene giudicato secondo la legge anti-terrorismo approvata nel 2015. Tuttavia, gli è stato addebitato un altro reato che rientra nella legge anti-terrorismo. Deve infatti rispondere di un suo articolo pubblicato sul sito Daraj che racconta della giornata di un copto egiziano: un tema molto controverso. C’è un dibattito sulla natura di questo scritto. Nell’articolo Patrick esprime solo una sua opinione e non si può arrestare qualcuno per un’opinione. Ma, secondo le autorità, quello scritto veicola una notizia e non un’opinione e quindi si potrebbe finire sotto processo. A mio avviso, Zaki è stato arrestato come parte del caso Regeni. È un modo per avere un negoziato con le autorità italiane. Il governo egiziano non può arrestare un cittadino italiano ma può fermare un cittadino egiziano che sta studiando in Italia per esempio, come Patrick, per mettere il governo italiano con le spalle al muro e negoziare.
Perché nel caso Zaki la carcerazione preventiva è così lunga, superiore a un anno?
Patrick non è il solo. Ci sono altri che hanno situazioni simili o peggiori, che sono in prigione da oltre due anni, come Alaa Abdel Fattah, Ziad el-Elaimy, Hisham Fouad. Questo è il nuovo corso. Il governo arresta, si resta in carcere due anni e poi, se si vuole che l’imputato continui a rimanere in prigione, si fa “ruotare” il caso attribuendo all’incarcerato nuovi reati. Ora dicono che stanno seguendo la legge e che questo è il procedimento che si applica sempre. Penso, invece, che anche in questo caso siamo davanti a un tentativo di negoziare in relazione al caso Regeni. Hanno tenuto in carcere Patrick per un po’, ma ora che il processo Regeni ha preso il via in Italia, si può procedere in Egitto anche contro Zaki.
In Italia è stato avviato e poi fermato il processo a carico dei quattro generali che avrebbero fermato, torturato e ucciso Giulio Regeni nel 2016. Come si è concluso il caso del giovane ricercatore italiano in Egitto?
In Egitto non è in corso un processo. Il caso è stato chiuso con l’accusa mossa al gruppo di malavitosi che lo avrebbero fermato per derubarlo. Rispetto al procedimento in corso in Italia, c’è in gioco la reputazione della polizia egiziana. Non vogliono che il caso venga chiuso in questo modo in Italia ma che i quattro accusati vengano prosciolti. Certo, Patrick è un attivista copto, è un attivista socialista e ha lavorato su vari temi, ma penso che la causa dei problemi giudiziari che sta affrontando è il fatto che stesse studiando in Italia.
Con la conclusione del processo per l’omicidio di Giulio Regeni in Italia, le autorità egiziane potrebbero rilasciare Zaki?
Questa è ciò che penso, anche se non ho prove nel merito. L’Egitto ha problemi molto gravi con accademici e ricercatori egiziani, per esempio abbiamo avuto il caso di Ahmed Samir condannato a quattro anni o Alia Mosallam, arrestata e ora rilasciata. Certo anche il fatto che Patrick abbia scritto dei copti egiziani ha pesato nella sua detenzione: una delle cose su cui Al-Sisi cerca di convincere il mondo è che ora i cristiani in Egitto sono molto sicuri, vivono il momento migliore della loro storia. Quindi non è opportuno sentire un’opinione contraria di un attivista copto. Zaki non è il solo. In carcere, ad esempio, c’è anche Rami Kamel, in arresto preventivo da oltre due anni e accusato di far parte di un gruppo terroristico e di diffondere notizie false.
Ci sono novità sul caso Alaa Abdel Fattah? Sono stati pubblicati in Italia i suoi scritti dalla prigione Non siete stati ancora sconfitti ed è iniziato il processo a suo carico.
Alaa è stato arrestato nel settembre 2019 durante la repressione contro gli attivisti egiziani, e sta affrontando le accuse di far parte di un gruppo terroristico, e di diffondere notizie false. Ma non ci sono state prove a suo carico fino a un mese fa, quando hanno detto che ha condiviso uno status su Facebook sulla tortura in prigione di un detenuto. Avevano scritto che si era suicidato, quando in realtà era morto sotto tortura. Hanno stralciato il caso e hanno usato questo status per portarlo a processo assieme all’avvocato Mohammed al-Baqr, accusato di aver scritto un report su detenuti morti per negligenza in prigione, e Mohammed Oxygen, che ha pubblicato un video sulle condizioni disagiate dei bambini di strada in Egitto. Lo scorso 18 ottobre c’è stata la prima udienza, il processo è stato aggiornato al primo novembre. Ma la maggior parte delle richieste presentate dagli avvocati difensori sono state respinte. Alaa non sarà rilasciato presto: è un’icona della rivoluzione, è indipendente, intelligente, una persona che rispetti anche se ha un’opinione diversa dalla tua. Penso che sia una sorta di vendetta personale contro Alaa che è molto critico verso il regime. E vendetta contro la sua famiglia di attivisti, e tutta la gioventù che ha preso parte alla rivoluzione del 25 gennaio 2011. Non siamo ottimisti sul suo caso. Il Comitato internazionale per il dialogo, voluto da Mohamed Anwar al-Sadat, ex parlamentare e ora parte del Consiglio nazionale per i diritti umani, negozia per il rilascio dei detenuti. Penso di essere stata rilasciata grazie a questa iniziativa. Ma ci sono dei nomi sui quali rifiutano completamente di negoziare, come quello di Alaa Abdel Fattah e Ahmed Douma.
Ci sono altri casi meno noti come quelli di Haitham Mohammadin, Ismail Iskandarani o Mohammed Ramadan che sta seguendo?
Non riusciamo a contare il numero di persone che sono in detenzione preventiva. In Tribunale ogni giorno troviamo dalle 150 alle 400 persone. Ci sono molti casi, come quello di Mohammed Ramadan, arrestato nel dicembre 2018, il quale nonostante abbia pagato la cauzione non è stato rilasciato. Gli hanno attribuito altri reati, come di far parte di un gruppo terroristico e di diffondere notizie false. Ramadan è un avvocato per i diritti umani, è stato arrestato perché ha indossato una maglietta gialla in solidarietà con i contestatori francesi nel 2018. Ed è ancora in prigione. Ma sono moliti i casi.
Crede che ci sia una pressione internazionale consistente per il rilascio dei detenuti in Egitto dopo l’elezione di Biden negli Stati Uniti?
Molte persone avevano grandi aspettative dopo l’elezione di Biden. Ma l’Egitto non è nell’agenda del nuovo inquilino della Casa Bianca. I paesi occidentali hanno bisogno di qualcuno come Al-Sisi, uno che fa la voce grossa in tema di immigrazione, o di Libia. Uno che ha cercato di giocarsi un ruolo di negoziatore nel conflitto israelo-palestinese. I governi occidentali non gli stanno mettendo alcun tipo di pressione. Anche se la situazione è leggermente migliorata rispetto ai tempi di Trump, non è quello che ci aspettavamo. Ci sono, tuttavia, grandi campagne di solidarietà internazionale ed è questa la sola cosa che può mettere pressione dall’esterno sul regime egiziano.
Come ha trascorso l’ultimo periodo di detenzione, il più lungo dopo il 2011, e prima del suo rilascio lo scorso luglio?
Sono tra le persone fortunate che non hanno subito maltrattamenti in prigione. Sono stata portata nel carcere femminile di Qanater dopo essere stata arrestata nel 2019 al Cairo. Se negli arresti precedenti eravamo poche decine di detenuti, questa volta ho trovato in carcere almeno 180 altre detenute in una sola prigione e di solito le donne arrestate sono meno degli uomini. Non c’erano solo oppositrici politiche, ma anche figure pro-regime che hanno avuto problemi con le autorità, donne che sono state arrestate perché mogli di esponenti di Isis o di Fratelli musulmani. Quello che ha fatto peggiorare tutto è stata la pandemia, eravamo in celle affollate, non eravamo vaccinate, non potevamo ricevere visite, non abbiamo visto gli avvocati, i giudici, non sapevamo quale fosse la nostra situazione, questo per sei mesi. Sono stata in prigione un anno e dieci mesi senza prove, ci hanno rilasciato solo prima di un’ispezione esterna sulla violazione dei diritti umani in carcere.
Ci sono proteste anti-regime per ragioni economiche, per la crisi post-pandemia in Egitto?
Certo la situazione economica è dura, ma il controllo di sicurezza è anche più stretto. Quando Al-Sisi ha detto che avrebbe fermato la costruzione di palazzi illegali, le persone erano molto arrabbiate ma ha avviato una campagna di arresti. Il presidente non tollererà alcun tipo di rifiuto alle sue politiche. Nei suoi interventi pubblici, dice sempre che userà l’esercito se ci saranno proteste, non c’è spazio per alcun tipo di opposizione.