La Guinea Equatoriale e gli imbarazzi della Comunità dei paesi di lingua portoghese - Nigrizia
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Il petrolio parla più forte della democrazia e dei diritti umani
La Guinea Equatoriale e gli imbarazzi della Comunità dei paesi di lingua portoghese
Ancora senza una risposta la lettera inviata a luglio da un gruppo di cittadini di Angola, Capo Verde e Portogallo al presidente della Cplp, nella quale si chiedeva l’espulsione dall’organismo del paese per ripetute violazioni dei diritti umani
06 Novembre 2021
Articolo di Luca Bussotti
Tempo di lettura 4 minuti
Teodoro-Obiang-Nguema-Mbasogo
Il presidente della Guinea Equatoriale Teodoro Obiang Nguema Mbasogo

Era il 15 luglio scorso quando alcuni cittadini di vari paesi della Cplp (Angola, Capo Verde e Portogallo) presero carta e penna e scrissero una lettera all’allora presidente di turno, il capoverdiano Jorge Carlos Fonseca, e al suo successore e attuale presidente dell’organizzazione, l’angolano João Lourenço, per espellere la Guinea Equatoriale dalla Comunità dei paesi di lingua portoghese.

Motivo: gravi e continue violazioni dei più elementari diritti umani, dalla persecuzione degli oppositori dello storico dittatore Teodoro Obiang Nguema (in carica dal 1979 dopo un colpo di stato) all’abolizione della pena di morte, e alla mancata attuazione delle clausole che erano state stabilite come necessarie per la piena accettazione di questo paese nella Cplp, come l’introduzione di un limite ai mandati presidenziali. Niente di tutto questo è avvenuto, così come nessun provvedimento è stato assunto dalla Cplp al fine di richiamare la Guinea Equatoriale al rispetto degli impegni presi.

La Comunità dei paesi di lingua portoghese, fondata nel 1996 a Luanda e attualmente composta da Angola, Brasile, Capo Verde, Guinea-Bissau, Mozambico, Portogallo e Timor-Este, nel 2014 vide l’entrata a titolo definitivo della Guinea Equatoriale, unico paese africano di lingua spagnola e con legami assai flebili col mondo lusofono.

La trattativa per la sua entrata definitiva fu estenuante: iniziò nel 2006, quando la Guinea Equatoriale entrò come osservatore associato, subì due passi falsi, nel 2010 e nel 2012, a causa dell’opposizione del Portogallo, e si concretizzò solo nel 2014.

In questa circostanza, Lisbona dovette cedere all’asse Angola-Brasile, paesi che avevano minacciato di far saltare il banco, andando a fondare un’organizzazione alternativa alla Cplp, insieme agli altri stati membri, nel caso in cui il Portogallo non avesse accettato l’ingresso della Guinea Equatoriale nell’organizzazione.  

Il petrolio parlò più forte della democrazia e dei diritti umani: la Guinea Equatoriale è infatti il terzo paese africano produttore di greggio, dopo Nigeria e Angola, e uno dei sogni del presidente Luiz Inácio Lula da Silva (che aprì la prima ambasciata brasiliana a Malabo nel 2006), insieme all’ex-presidente angolano José Eduardo dos Santos, era costituire un blocco lusofono che riuscisse a gestire il 50% delle nuove riserve petrolifere scoperte negli ultimi anni a livello mondiale.

E così fu, con buona pace di Amnesty International, degli oppositori di Obiang, del Portogallo e dei suoi due presidenti che gestirono la questione: Anibal Cavaco Silva prima, Marcelo Rebelo de Sousa poi.

Non furono salvate neanche le apparenze: come ha sottolineato uno degli oppositori al regime di Obiang, Salvador Bilan, in un’intervista al canale informativo portoghese RTP, la lusofonia della Guinea Equatoriale – che è il tratto distintivo della Cplp – rappresenta una mera invenzione del dittatore, costruita al fine di permettergli l’entrata in questa organizzazione.

Nessuno, in Guinea Equatoriale, parla portoghese, neanche nell’isola di Annobón, 17 Km² di estensione, abitata da 5mila persone e ceduta dal Portogallo alla Spagna nel 1778. Qui, l’idioma parlato dai locali è il fá d’ambô, un misto fra un portoghese arcaico, qualche parola di spagnolo e il criolo di San Tomé e Príncipe, con cui l’isola ha maggiori contatti rispetto alla lontana capitale Malabo.

D’altra parte, una simile tattica era stata usata da Obiang anche quando, nel 1998, il dittatore aveva interesse affinché il suo paese entrasse nella francophonie. In questo caso promosse il francese come seconda lingua ufficiale della Guinea Equatoriale, mentre, nel 2010, in vista dell’entrata nella Cplp, il portoghese passò a essere la terza. Una tattica che ha funzionato, in entrambi i casi.

Nel caso della Cplp, però, furono poste altre due condizioni: anzitutto, l’abolizione della pena di morte, e in secondo luogo l’avvio di strutture di insegnamento formali della lingua portoghese. Se, nel primo caso, la pena di morte risulta soltanto sospesa da un decreto presidenziale (che può essere ritirato da un momento all’altro), nel secondo l’unico luogo in cui vengono garantite alcune ore di insegnamento del portoghese è l’ambasciata brasiliana a Malabo.

Ancora oggi la Guinea Equatoriale è considerato come uno degli stati meno democratici al mondo, secondo la classifica di Freedom House, con un punteggio di 5 su 100 per la libertà politica.

È a tali clausole non rispettate che i mittenti della lettera di protesta contro la presenza della Guinea Equatoriale nella Cplp si sono appellati nel luglio scorso, senza, per il momento, alcuna risposta.

Atteggiamento, c’è da scommetterci, che non cambierà nei prossimi mesi, visto l’interesse che la maggioranza degli stati membri dell’organizzazione ha da sempre dimostrato verso il petrolio gestito dall’eterno dittatore Teodor Obiang Nguema, parallelo allo scarso appeal per democrazia, diritti umani e diffusione della lusofonia.

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