Economia: l'Africa in lenta ripresa - Nigrizia
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Aumenta il divario tra paesi ricchi e in via di sviluppo
Economia: l’Africa in lenta ripresa
Le stime dell’ultimo rapporto della Banca mondiale prevedono una crescita del 3,3% nel continente, ma con un aumento delle disuguaglianze all’interno dei singoli paesi e tra le regioni. A pesare sulle economie sono debito estero, effetti della pandemia, crisi climatiche e bassa copertura vaccinale. In aumento il costo di materie prime, cibo e carburante
18 Ottobre 2021
Articolo di Antonella Sinopoli
Tempo di lettura 7 minuti
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Una notizia buona e una che riporta con i piedi per terra. Quella buona è che l’Africa sub-sahariana sta tornando a crescere. Lo dice l’ultimo rapporto Africa’s Pulse pubblicato dalla Banca mondiale. Gli analisti assicurano: il continente è uscito dalla recessione. Ma lo stesso documento parla di una “ripresa ancora timida e fragile”. E questo anche a causa della mancata diffusione di vaccini e vaccinazioni. Mentre il Fondo monetario internazionale (Fmi) avverte: “le minacce alla ripresa economica globale stanno crescendo insieme a una ‘pericolosa divergenza’ nei recuperi tra nazioni più ricche e più povere”.

Ma veniamo al report, secondo cui la previsione per il 2021 per l‘Africa è una crescita del 3,3%, un ritmo di ripresa più debole rispetto a quello delle economie di mercato avanzate ed emergenti. Successivamente, per il biennio 2022-23, si prevede che la regione crescerà a tassi inferiori al 4%. E tuttavia, sarebbe proprio una maggiore e più capillare diffusione del (o dei) vaccino (i), e il ritiro delle misure di contenimento del Covid-19, a garantire invece una crescita superiore al 5%.

Per il momento, il tasso di crescita di quest’anno sarebbe dovuto all’alto prezzo delle materie prime (che però incide sull’inflazione e penalizza la popolazione), all’allentamento delle misure messe in atto per combattere la pandemia e alla ripresa del commercio internazionale. Secondo quanto sostenuto nel report, i paesi africani stanno rispondendo bene alla crisi generata dalla pandemia, anche intraprendendo riforme strutturali e macroeconomiche e attuando una certa disciplina nelle politiche monetarie e fiscali.

Tra le riforme strutturali più coraggiose vanno citate l’unificazione dei tassi di cambio in Sudan, la riforma dei sussidi ai prodotti petroliferi in Nigeria e l’apertura alla concorrenza del settore delle telecomunicazioni in Etiopia. Anche se occorrerebbe maggiore spazio di manovre fiscali – dicono gli esperti –, che però secondo alcuni sarebbero pericolose, e “significativi finanziamenti esterni aggiuntivi”.

Divario in aumento tra ricchi e poveri

Insomma, previsioni buone ma non quanto sarebbe indispensabile per riprendere dai livelli interrotti dalla crisi sanitaria mondiale. Una crisi che ha messo in evidenza disuguaglianze sia all’interno dei singoli paesi, sia tra le singole regioni. Già il Fondo monetario internazionale aveva sottolineato che non solo la ripresa globale sarà più debole del previsto, ma che il momento della ripresa metterà in rilievo il divario tra i paesi ricchi e quelli in via di sviluppo.

Come spiegava giorni fa Kristalina Georgieva, direttrice generale dell’Fmi, «la divergenza nella ripresa è tale che le economie avanzate torneranno ai livelli pre-pandemia entro il 2022, laddove alla maggior parte dei paesi emergenti e in via di sviluppo, per riprendersi, occorreranno ancora molti anni». Il Fmi ha rivisto le sue previsioni principali per la crescita globale quest’anno in leggero calo dallo 0,1% al 5,9%, lasciando invariate le sue proiezioni per il 2022 al 4,9%.

Una modesta revisione percentuale che però, a detta degli esperti del Fondo “maschera ampi declassamenti per alcuni paesi”, che sono appunto quelli in via di sviluppo a basso reddito. E il differente grado di ripresa si sta già manifestando nell’inflazione e nell’aumento dei prezzi delle materie prime che vanno ad incidere sul portafogli dei consumatori. Cosa che aumenta gli squilibri sociali e il rischio di reazioni da parte delle popolazioni.

Per le economie avanzate, il Fondo ritiene che l’inflazione complessiva raggiungerà il picco negli ultimi mesi di quest’anno e scenderà a circa il 2% entro la metà del 2022. Per i mercati emergenti e le economie in via di sviluppo, invece, l’inflazione complessiva dovrebbe raggiungere il picco del 6,8% entro la fine dell’anno, prima di scendere a circa il 4% entro la metà del prossimo anno.  

Ma torniamo allo studio, secondo il quale la ripresa economica nel continente sub-sahariano non sarà affatto omogenea. Per le tre principali economie, Angola, Nigeria e Sudafrica, si attende rispettivamente lo 0,4%, 2,4% e 4,6%. Mentre ci si aspettano performance assai migliori in Costa d’Avorio (6,2%) e in Kenya (5%). Secondo gli analisti il deficit di bilancio regionale, che ammonta al 5,4% del Prodotto interno lordo (Pil) nel 2021, dovrebbe scendere al 4,5% del Pil nel 2022 e al 3% del Pil nel 2023.

L’allerta principale riguarda il debito pubblico che nei paesi sub-sahariani ha registrato un notevole incremento. Si prevede, in media, che il debito pubblico lordo raggiunga il 71% del Prodotto interno lordo entro il 2021, con un aumento di 30 punti percentuali del Pil dal 2013. Nel frattempo, come si diceva, c’è stata un’impennata dell’inflazione, sulla scia dell’aumento dei prezzi del cibo e del carburante. Per quest’anno si parla del 4,3%, anche se le previsioni del Fmi sono addirittura più pessimiste.

L’analisi sottolinea quindi la necessità di “significativi finanziamenti aggiuntivi” per dare una spinta alla ripresa e contrastare gli effetti della pandemia, peggiorati – si afferma – con la diffusione della variante Delta. Una ripresa che, nelle parole degli esperti di Africa’s Pulse dovrebbe essere “solida e inclusiva” per restringere il percorso di recupero diseguale tra paesi ricchi e paesi poveri. E senza passare da misure drastiche.

Secondo lo studio, infatti, “in un ambiente di continua incertezza intorno al coronavirus e alle sue varianti, un’agenda fiscale aggressiva potrebbe rivelarsi dannosa per la crescita a lungo termine, aggravando gli impatti di lunga durata della pandemia sulla salute e sull’istruzione”.

Ad agosto, il Fmi ha deciso un’assegnazione generale di diritti speciali di prelievo (Dsp) per un importo record pari a 650 miliardi di dollari. “Una bella ‘spinta’” si legge nel report. Ma che potrebbe non bastare. L’obiettivo è che i paesi ricchi prestino la loro quota di Dsp ai paesi africani o li utilizzino per attirare fondi privati ​​a sostegno delle piccole e medie imprese, non solo dunque a sostegno degli Stati. 

“Il raggiungimento degli obiettivi di sviluppo della regione richiederà contributi da tutte le potenziali fonti, comprese le istituzioni finanziarie internazionali e il settore privato” si legge ancora nel report.

Trasformare la crisi in opportunità

Altra cosa interessante che emerge dal documento pubblicato dalla Banca mondiale, è l’accento posto alla particolare vulnerabilità del continente africano riguardo agli effetti del cambiamento climatico.

Le condizioni uniche dell’Africa – si legge – come lo scarso sviluppo di base, le vulnerabilità climatiche preesistenti, il basso uso di energia da combustibili fossili e l’elevata dipendenza dall’agricoltura – settore sensibile al clima – pongono ulteriori sfide ai cambiamenti climatici, ma offrono anche opportunità per costruire e utilizzare tecnologie più verdi. Insomma: trasformare la crisi in opportunità, una sfida che può essere affrontata, dicono i relatori del documento.

Il cambiamento climatico – ed è questa la sfida – dovrebbe essere considerato dai responsabili politici come una fonte di cambiamento strutturale. Ad esempio, il problema dell’accesso all’energia nella regione può essere risolto con l’adozione di energie rinnovabili parallelamente all’espansione della rete nazionale. Ed ecco che entra di nuovo in gioco la necessità di fare fronte comune attraverso la messa in opera di finanziamenti nazionali e internazionali.

Secondo gli esperti, in un continente in cui gran parte delle infrastrutture, delle città e dei sistemi di trasporto devono ancora essere costruite, gli investimenti in infrastrutture intelligenti per il clima possono aiutare le città a crescere bene e aiuterebbero la creazione di nuovi posti di lavoro, anche nel settore green.

Finanziare l’adattamento ai cambiamenti climatici nell’Africa sub-sahariana e adottare conseguenti politiche risulta dunque essenziale per mobilitare risorse che vadano verso la creazione di modelli sostenibili. Nel frattempo, bisogna uscire dalla fase peggiore della crisi. E la priorità principale al momento, ribadiscono le istituzioni internazionali, è procedere e affrettarsi con le vaccinazioni per combattere il Covid-19.

Secondo gli ultimi dati forniti dall’Organizzazione mondiale della sanità solo 15 paesi africani, meno di un terzo delle 55 nazioni del continente, hanno completamente vaccinato il 10% della loro popolazione. Di contro, quasi il 90% dei paesi ad alto reddito ha raggiunto questo obiettivo. C’è ancora molta strada da fare, dunque, per raggiungere il traguardo fissato dall’Oms: vaccinare completamente il 40% della popolazione africana entro la fine dell’anno.

Lo scorso mese sono arrivati in Africa 23 milioni di vaccini, un aumento di dieci volte rispetto a giugno. Eppure solo 60 milioni di africani sono stati completamente vaccinati finora e quindi solo il 2% degli oltre 6 miliardi di vaccini somministrati a livello globale è stato somministrato nel continente. Ma chiudiamo con una notizia confortante: si conferma il calo dei casi di Covid-19 in Africa, sceso del 35%. Anche se, fa notare ancora l’Oms, nel continente viene diagnosticato in media solo un caso di contagio su sette.

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