Ci eravamo forse illusi? Ripetere, come una cantilena ipnotica, che la traiettoria delle Afriche è progressiva e felice ci ha inebriato facendoci deragliare? La realtà emerge con asprezza leggendo la corposa prima parte del nuovo numero di Nigrizia, quello che apre il 2022.
Uno sfoglia le pagine, scorrendo mentalmente il continente da est a ovest e da nord a sud, e fatica a trovare aree non incrostate da conflitti, guerre civili, terrorismi, crisi climatiche o derive autocratiche. Per dire: con gli ultimi colpi di stato, se ne contano ben 11 dal 2012. E allargando l’orizzonte temporale: nel mondo ce ne sono stati 37 dal 1990. Il 78% in Africa.
I casi di Etiopia e Sudan, le macro crisi più recenti, sfibrano anche le riserve di speranza dei più fiduciosi. Senza voler apparecchiare i tavoli dei cinici, bisogna pur ricordare che a viaggiare a braccetto con questa situazione ci sono almeno due postille.
La prima: le vittime delle crisi sono prevalentemente i più deboli, gli ultimi. La seconda: l’orribile farsi del conflitto ha comunque sempre una logica, che sia economica, religiosa, politica o etnica. E paiono non esistere, al momento, ricette efficaci per sbriciolarla, quella logica.
Ad esempio, non sembra una soluzione inondare di denaro le nazioni africane. Molte, infatti, sono diventate ostaggio dei prestiti muscolari ricevuti. È la storia recente dei rapporti del continente con la Cina. Come spiega molto bene il dossier, che trovate a pagina 38, la politica del denaro facile scricchiola.
Gli africani si stanno rendendo conto che le abbondanti quantità di denaro concesse da Pechino si rivelano molto costose in termini di tassi di interesse e con scadenze molto brevi dei rimborsi. E, aspetto non trascurabile, non sono sufficienti a causare lo shock economico e di sviluppo atteso. Anzi. Talvolta mettono in crisi i paesi che non riescono a pagare i debiti accumulati. Vedi i casi recenti di Zambia e Uganda.
C’è chi è rimasto sorpreso dall’annuncio del presidente cinese Xi Jinping, all’apertura del Forum di Dakar, di voler ridurre a 40 miliardi di dollari i finanziamenti ai paesi africani. Come se quell’avviso preannunciasse un disimpegno. L’importo rappresenta, in effetti, la prima riduzione di fondi per l’Africa degli ultimi 12 anni ed è inferiore del 33% rispetto ai 60 miliardi erogati in occasione dell’ultimo Forum, nel 2018.
Ma questi analisti scordano che il continente, con le 46 nazioni aderenti, è la più grande componente regionale della Belt and Road Initiative (Bri), il progetto ultramiliardario cinese per riconfigurare l’architettura del commercio globale. Non solo.
A Dakar si è assistito, poi, a una decisa virata di Pechino: dai finanziamenti capestro alla diplomazia sanitaria. Il presidente cinese, infatti, si è impegnato a donare un miliardo di dosi di vaccino contro il Covid-19. Lo scopo è chiaro: mettere in difficoltà il mondo occidentale che sulla fornitura dei vaccini si è solo riempito la bocca.
Le sfide del 2022 per le Afriche si giocano, come sempre, anche su tavoli geopolitici delle solite potenze.