Una processione incessante di persone – semplici cittadini, politici, esponenti religiosi – sta rendendo l’ultimo omaggio all’Arcivescovo anglicano Desmond Tutu, il cui corpo è esposto per due giorni (il 30 e 31 dicembre) in una semplice bara di legno di pino grezzo nella “sua” cattedrale di San Giorgio a Città del Capo, prima del funerale di Stato che si celebrerà il 1 gennaio.
Ma tutto il Sudafrica è in lutto da domenica 26 dicembre, giorno della morte, all’età di 90 anni, di questo grandissimo uomo di Dio che rimarrà nella storia per essere stato il motore trainante della lotta per abolire l’apartheid, il sistema di segregazione razziale imposto dal governo di minoranza bianca contro la maggioranza nera dal 1948 al 1991. Ma anche per essersi sempre battuto con autentico spirito nonviolento, contro ogni forma di sopraffazione e per una società più giusta, più autenticamente umana.
Il suo spirito si ricongiungerà con quello del suo grande compagno di lotta, Nelson Mandela (morto il 5 dicembre 2013), e con quello dell’ultimo presidente bianco del Sudafrica, anche lui Premio Nobel per la pace, Frederik Willem de Klerk, scomparso poco prima di lui, lo scorso 11 novembre, all’età di 85 anni.
Con il nuovo anno, per il Sudafrica e per il mondo intero, si apre dunque una nuova pagina, quella della memoria. Una memoria oggi più che mai indispensabile per ricostruire un paese stremato dalla crisi economica e dilaniato da 27 anni di governo cleptocratico del partito unico, quell’African National Congress fondato da Mandela e contro il quale ha avuto modo di scagliarsi in più occasioni, anche lo stesso Tutu.
Il commento, da Johannesburg, dell’ex direttore di Nigrizia, p. Efrem Tresoldi: