Da mesi la Guinea-Bissau sta vivendo momenti di estrema tensione. Lo sciopero del personale medico e paramedico che ha bloccato il sistema sanitario, peraltro già al collasso, in precedenza scioperi generali contro il governo per un salario minimo degno, un presidente, Umaro Sissoco Embaló (eletto con molte contestazioni all’inizio del 2020) che da giorni ha rotto i rapporti col “suo” primo ministro, Nuno Gomes Nabiam, tutto questo dà il quadro di una situazione che sta sfuggendo di mano.
A ciò deve aggiungersi che la composizione dell’Assemblea nazionale popolare (il locale parlamento) è sfavorevole al presidente, visto che l’ex-partito unico, il Paigc (Partito africano per l’indipendenza della Guinea e di Capo Verde) detiene la maggioranza relativa. Dei 102 seggi disponibili, infatti, il Paigc ne controlla 47, il Madem G5 (Movimento per l’alternativa democratica), partito del presidente, 27, il Prs (Partito per il rinnovamento sociale) 21, e i 7 residui sono suddivisi fra tre partiti minori.
Ad aprile vi era stata la minaccia di un cambiamento di maggioranza parlamentare, con l’avvicinamento fra Paigc e Prs, che costrinse Embaló a un rimpasto di governo, al fine di evitare quella che per lui sarebbe stata una sciagura politica.
Ma il quadro, da allora, non è migliorato. Lo stesso presidente lo ha ammesso pubblicamente pochi giorni fa, in occasione delle celebrazione per la Giornata delle forze armate (16 novembre). In quella circostanza, Embaló non soltanto non ha rivolto parola al primo ministro, da lui scelto, ma ha ribadito con forza alcuni concetti che facevano pensare a una soluzione assai vicina a una sorta di colpo di stato istituzionale: i «disordini» che la Guinea-Bissau sta affrontando sarebbero, secondo il presidente, arrivati al limite, mentre la capacità di governo del primo ministro è, evidentemente, deludente.
La soluzione trovata sarebbe quindi il ricorso alle urne, sciogliendo il parlamento, con due obiettivi fondamentali: il primo, più immediato, avere finalmente una maggioranza a lui più fedele, con la diminuzione, quindi, dei seggi del Paigc; il secondo, di medio termine, diretto a instaurare un modello presidenzialista, sostituendo l’attuale semi-presidenzialista, che vincolerebbe eccessivamente l’azione del presidente ai lacci del parlamento e di un governo guidato da un primo ministro.
E, per far ciò, sarebbe necessaria una maggioranza ampia, dei due terzi del parlamento, al fine di procedere alle necessarie riforme costituzionali. Se il disegno di Embaló è questo – e fonti locali ce lo hanno confermato – si tratterebbe di un tentativo di colpo di stato istituzionale, al fine di instaurare un regime meno democratico e più autoritario, in cui il presidente assume “pieni poteri”.
La tentazione dell’“uomo forte”, da parte di Emabló, è assai probabile, visti anche i suoi modelli politici di riferimento: il presidente brasiliano Bolsonaro, poche settimane fa, durante una visita di Emabló a Brasilia, lo ha infatti definito il “Bolsonaro d’Africa”, non senza imbarazzo da parte della Guinea-Bissau.
Il ricorso alle elezioni anticipate – fra l’altro minacciato già a fine 2020 da Emabló – sembra al momento scongiurato sia perché le previsioni indicherebbero un incremento dei voti del Paigc, sia perché il Consiglio di Stato – che Emabló ha dovuto convocare, vista l’eccezionalità della situazione – lo ha sconsigliato, invitandolo a coinvolgere, come prevede la Costituzione, tutti gli altri partiti.
Da segnalare che il primo ministro non ha partecipato alla riunione, in evidente dissenso dal presidente, fatto anch’esso che ha suggerito un parziale ripensamento dell’iniziativa presidenziale. Stessa opinione è stata espressa dai partner internazionali, da cui la Guinea-Bissau dipende in larga misura.
Lo scenario più probabile è che Embaló inizi negoziati coi partiti che lo sostengono, cercando magari di puntellare la sua debole maggioranza raccattando qualche deputato in più fra i partiti minori, chiarendo il suo rapporto col primo ministro – che potrebbe essere sacrificato, o con cui dovrà continuare una convivenza forzata e difficile -, ma senza dissolvere il parlamento, visto i rischi che questo potrebbe comportare.
Il tutto al netto delle sue posizioni autoritarie, che lo stanno portando verso tentativi ripetuti di annullare i normali processi democratici locali, emergendo come “uomo forte”.