«Le armi utilizzate per la repressione del novembre 2020 a Kampala erano israeliane. Ma le pallottole erano italiane».
La denuncia è di Robert Kyagulanyi, più conosciuto con il nome d’arte di Bobi Wine. L’ex rapper, ora parlamentare e leader della Piattaforma di unità nazionale (Nup), è stato ascoltato in videoconferenza il 18 gennaio scorso dal Comitato permanente sui diritti umani nel mondo, costituito presso la Commissione esteri della Camera.
Il Comitato, presieduto dall’onorevole Laura Boldrini, aveva organizzato una seduta dedicata all’Uganda, e alle elezioni presidenziali e parlamentari, svoltesi il 14 gennaio 2021 in un contesto caratterizzato da gravi irregolarità e da violazioni dei diritti umani.
Per l’occasione i parlamentari italiani hanno organizzato una serie di audizioni di attivisti ugandesi, tra cui Bobi Wine, il principale oppositore al “dinosauro” Yoweri Museveni, 76 anni, da 35 al potere e al suo sesto mandato.
Rompere le relazioni diplomatiche
L’ex rapper, arrestato ben 11 volte, ha chiesto a Roma «di rompere i rapporti diplomatici» con Kampala. «È immorale e irrispettoso dei diritti umani mantenere relazioni politiche con questo presidente. L’Italia e l’Unione europea non hanno bisogno di un dittatore per portare avanti la loro politica in Africa. L’idea che i dittatori portino stabilità piuttosto che democrazia è totalmente sbagliata».
Bobi Wine ha elencato tutta una serie di violazioni dei diritti umani compiuti dal regime. Soprattutto in occasione del voto di gennaio di un anno fa: arresti, detenzioni arbitrarie e tortura; l’assenza di osservatori internazionali per un monitoraggio imparziale; le violenze e la crescente militarizzazione della campagna elettorale, durante la quale sono stati vietati comizi, raduni (con la scusa della pandemia) e tagliato internet poche ore prima del voto.
E proprio in relazione alle violenze di piazza è giunta una delle accuse più pesanti lanciate da Bobi Wine nei confronti dell’Italia: «Museveni dipende totalmente dall’aiuto militare, oltre che economico, dell’Occidente. Noi non possiamo fermare i proiettili italiani sparati durante le manifestazioni. Sarebbe auspicabile che l’Italia venda all’Uganda altri prodotti invece che armi».
In un filmato mandato in onda prima dell’intervento di Wine, si è fatto riferimento, in particolare, alla repressione attuata dai militari ugandesi in occasione delle manifestazioni del 18-19 novembre. Manifestazioni di piazza in cui si chiedeva la liberazione del leader della Piattaforma di unità nazionale. Oltre 50 morti il funereo bollettino di quella due giorni, oltre a centinaia di feriti, di arrestati e di persone scomparse. E nel filmato si fa riferimento all’utilizzo da parte dei militari ugandesi dei tank francesi, delle armi israeliane, delle munizioni italiane e degli addestratori americani.
La visita dell’ambasciatore
Ma Wine non si è limitato a citare le munizioni italiane. Ha ricordato che nei giorni della repressione e poco prima del voto l’ambasciatore italiano a Kampala ha fatto visita alle forze di sicurezza ugandesi, il corpo delle forze armate più temuto perché ritenuto responsabili dei quotidiani assassini. Forze al cui vertice è tornato, nel dicembre del 2020, Muhoozi Kainerugaba, figlio di Yoweri Museveni. Un tenente generale già comandante delle forze di terra dell’Uganda people’s defence force (Updf) e appunto, delle forze speciali (Sfc). Entrambi i corpi sono accusati di uso eccessivo della forza e di rapimenti.
Muhoozi e altri alti ufficiali sono citati in una denuncia della Corte internazionale di giustizia. Nel 2017, è stato nominato consigliere presidenziale, alimentando le speculazioni su una sua possibile successione nepotistica al padre.
Dal 21 ottobre 2019, ambasciatore italiano in Uganda, Rwanda e Burundi è Massimiliano Mazzanti.
L’onorevole Lia Quartapelle – capogruppo per il Partito democratico nella Commissione esteri e appartenente al Comitato sui diritti umani – ha ricordato che i rappresentanti diplomatici hanno mandato di non schierarsi nelle competizioni elettorali e ha chiesto di verificare il comportamento dell’ambasciatore che dovrebbe sostenere libere elezioni e soprattutto la tutela dei diritti dei cittadini.
L’interrogazione al ministro Di Maio
La stessa Quartapelle e Laura Boldrini sono firmatarie di un’interrogazione al ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale nella quale chiedono «se risulta che le autorità militari e di ordine pubblico ugandesi dispongano di munizioni e armamenti di fabbricazione italiana e se non ritenga che l’eventuale esportazione di armamenti italiani verso l’Uganda sia in contrasto con la legge 185/90 che ne fa divieto verso paesi responsabili di accertate violazioni delle Convenzioni sui diritti umani».
Boldrini, nel suo intervento di chiusura dell’audizione ha usato espressioni molto severe nei confronti di Museveni, responsabile, a suo dire, di aver utilizzato metodi illiberali, antidemocratici e violenti per mantenere il suo potere». Parole che arrivano da una rappresentante delle istituzioni italiane, ex presidente della Camera e che appartiene alla maggioranza che guida il nostro paese.
Vedremo la risposta del governo.