Come quasi tutti i suoi libri precedenti, anche il recente Preghiera per i vivi, ha carattere nettamente sperimentale e presenta aspetti di spiccata novità formale. Il nigeriano Ben Okri è stato fin dagli esordi innanzitutto poeta, e come narratore – a partire dallo splendido romanzo La via della fame che gli guadagnò il Booker Prize nel 1991 e il Grinzane Cavour nel 1994 – ha sempre prediletto scenari onirici e un tempo che appartiene alla psiche più che alla storia, nel quale vagano personaggi provenienti più dal mondo dei trapassati che da quello dei viventi.
Tanto è vero che a un certo punto certi critici hanno creduto di poterlo etichettare come esponente di un realismo magico di marca africana: posizione che Okri ha sempre, e giustamente, rifiutato, giacché il realismo magico, nato nei Caraibi e rifluito nella tradizione sudamericana, è ben altra cosa.
Ora, dopo una ricca e varia produzione che ha consolidato il suo rango di acclamato autore africano trapiantato in ancor giovane età in terreno britannico, ritorna ai lettori con una proposta innovativa. Preghiera per i vivi è una raccolta di pezzi di lunghezza varia ma di ispirazione costante, anzi, uniforme, che Okri chiama stoku.
Questo nuovo vocabolo è formato dalle parole story + haiku, a indicare che si tratta di novelle o racconti (short stories, appunto) impastati poeticamente nell’atmosfera – se non nella misura – della composizione poetica che i giapponesi chiamano haiku e che si distinguono per le movenze fulminee e la complessa organizzazione scenica.
L’haiku è strutturalmente breve, mentre lo stoku di Ben Okri non lo è altrettanto, sebbene sia breve in quanto racconto. Insomma, si tratta di uno strano ircocervo a cui forse è meglio abbandonarsi in qualità di lettori fiduciosi.
A questa maniera, il libro offre una vasta gamma di godimenti. Ogni pezzo contiene due diverse parti, come due mandorle in un solo guscio. La prima parte è sempre scritta in corsivo e costituisce una sorta di preludio alla seconda, pur essendo sufficiente in se stessa. Non si tratta dunque di riassunti che anticipino il tutto, bensì di versioni diverse che si completano a vicenda in un loro modo sotterraneo.
Si prenda, ad esempio, la prima unità della serie, che comprende Boko Haram, una rapida scena di suicidio/massacro islamista compiuto da un ragazzo, e Preghiera per i vivi, ripresa cinematografica al rallentatore di una allucinante scena di morte e desolazione. Qui il rapporto fra le due parti è chiaramente la presenza della morte provocata dagli esseri umani; la diversità dei due scenari induce a riflettere sul rapporto che i viventi intrattengono con quella distruzione e quel brutale annientamento che è frutto degli attentati di cui siamo testimoni nel nostro tempo.
Il senso, dunque, è una riflessione e una conclusione che rimangono non dette: libere, aperte a chi leggendo s’incammina lungo quei sentieri.
Particolarmente importante è il pezzo che comprende Antichi legami karmici e Sognando Bisanzio, uno dei più lunghi della raccolta. Qui Bisanzio sta per “luogo del sogno”, e configura Istanbul come città di malinconia e, appunto, di sogni. Poiché cercare Bisanzio (nella Istanbul di oggi) equivale a «cercare una città che aleggia sopra questa, una leggenda a metà perduta fra chiese e rovine. È come cercare di vivere in una poesia. Chi la trova non scappa» (p.38).
Ecco che qui la storia millenaria e la speciale e complicata geografia si perdono nella dimensione onirica così cara a Ben Okri, intessendo una trama che non possiamo che definire magica.