Il 3 febbraio lo stadio Olembe è tornato a ospitare una partita di Coppa d’Africa a dieci giorni dalla calca formatasi all’ingresso sud che ha causato la morte di 8 persone e il ferimento di altre 38.
In programma c’era la semifinale tra Camerun ed Egitto, le due nazionali più titolate del continente. Ciò che ha destato una certa amarezza è l’assenza del minuto di silenzio o di qualunque altra forma di omaggio alle vittime prima del fischio d’inizio. Una negligenza che contrasta con l’attenzione che il presidente della Federcalcio camerunese Samuel Eto’o e i calciatori della nazionale hanno riservato ai feriti di Olembe.
L’ex attaccante dell’Inter, dopo averli visitati in ospedale, li ha invitati a seguire l’allenamento del Camerun precedente alla semifinale. I calciatori, invece, hanno deciso di devolvere loro i circa 76 mila euro del bonus ottenuto per la qualificazione alla fase a eliminazione diretta. La partita si è dunque giocata come se nulla fosse accaduto, ma l’atmosfera all’interno dello stadio ha probabilmente risentito della tragedia. Le nuove misure di sicurezza hanno consentito una gestione più agevole del flusso di spettatori, ma non potevano ripristinare la festa gioiosa che aveva invaso Olembe in occasione dell’ottavo di finale contro le isole Comore.
Il costo dei biglietti, unito al divieto di distribuire quelli gratuiti e di venderli all’esterno dello stadio nelle ore precedenti la gara hanno fatto il resto.
Sono stati solo 24.731 i tifosi che hanno risposto presente a una delle partite più importanti della storia del calcio camerunese. Un numero ben al di sotto dell’80% di capacità stabilito per le partite della nazionale ospitante.
L’accoglienza riservata ai Leoni Indomabili al momento dell’ingresso in campo per il riscaldamento pre-partita è sembrato un miagolio in confronto al ruggito che ha accompagnato il Camerun a Douala durante il quarto di finale contro il Gambia. Per lunghi tratti, i circa mille tifosi egiziani inviati dal Cairo per supportare i Faraoni sono stati più rumorosi. Questo ribaltamento paradossale di forze osservato sugli spalti si è rivelato una sorta di presagio di quello che sarebbe stato successivamente lo sviluppo della gara.
Il Camerun è apparso spento e ha mostrato la brutta copia della squadra che aveva regolato il Gambia 5 giorni prima. L’Egitto, reduce da 240 minuti intensi disputati contro Costa d’Avorio e Marocco, è riuscito a resistere alle poche folate offensive dei rivali e a portarli sul terreno psicologicamente più scivoloso: i calci di rigore. I calciatori locali, ad eccezione del capitano Aboubakar, si sono avvicinati al dischetto a testa bassa, quasi timorosi. Ciò ha prodotto 3 errori su 4 rigori calciati e la qualificazione dell’Egitto alla sua quinta finale nelle ultime nove edizioni. L’ultima, in cui venne sconfitto 2-1 proprio dal Camerun, l’aveva raggiunta nel 2017. Mohamed Salah, non particolarmente ispirato in partita, non ha dovuto neppure calciare il suo rigore.
Al contrario, il suo compagno di squadra al Liverpool Sadio Mané, ha trascinato nuovamente il Senegal nella semifinale del giorno prima contro il Burkina Faso. Anche grazie a uno stile di gioco meno remissivo di quello egiziano, il numero 10 senegalese è entrato in due delle azioni decisive che hanno portato al 3-1 finale. Prima ha servito l’assist del 2-1 a Idrissa Gana Gueye e allo scadere, con un delizioso pallonetto, ha realizzato la rete che ha spedito il Senegal alla sua seconda finale consecutiva, la terza in totale. Una finale in cui i Leoni della Teranga, che ambiscono al primo trionfo in Coppa d’Africa, partiranno leggermente favoriti considerando il dispendio fisico dei rivali, che avranno anche un giorno in meno di riposo.
Senegal-Egitto non è sicuramente la finale che il popolo camerunese si aspettava. Ma è certamente quella che desiderava la maggior parte degli appassionati di calcio africano. Non esiste sfida calcisticamente più entusiasmante di quella che mette di fronte Sadio Mané e Mohamed Salah, i due calciatori africani più forti del momento e tra i più grandi della storia. Non esiste finale mediaticamente più attraente per quello che qualche settimana prima della gara inaugurale Jürgen Klopp, allenatore di Mané e Salah al Liverpool, definì un “piccolo torneo”.