È dal maggio dello scorso anno che in due province del nordest della Repubblica democratica del Congo – Nord Kivu e Ituri – è in atto lo stato d’assedio: una misura che comporta il trasferimento dei poteri dai civili eletti ai militari.
La ragione di questa scelta, fatta dal governo del presidente Félix Tshisekedi e approvata dal parlamento, è di combattere con più efficacia i gruppi armati che tengono in scacco quelle regioni, oltre che il Sud-Kivu. Garantire la sicurezza del nordest è uno dei punti più sbandierati del programma di Tshisekedi, eletto nel 2018, che si ripresenterà per un secondo mandato alle elezioni previste per il dicembre del 2023.
Stiamo parlando di province ricche di minerali. Ed è sul contrabbando di questi minerali che si finanziano i gruppi armati, non di rado in collaborazione con ufficiali corrotti dell’esercito congolese. Il fatto è che il contrabbando, per esempio di oro e di coltan, prende la via del Rwanda. Una volta in Rwanda i minerali illegali sono resi legali e figurano prodotti dal Rwanda che invece non dispone di un numero di miniere tali che giustifichino le sue esportazioni di oro e di coltan.
Come mette in evidenza la Rete per la pace in Congo, che pubblica regolarmente analisi sulla situazione dell’Rd Congo e degli altri paesi della regione dei Grandi Laghi, non meno 600 milioni dollari in oro sono contrabbandati ogni anno dall’Rd Congo, in gran parte attraverso il Rwanda. Lo afferma The Sentry, gruppo di ricerca statunitense.
Per ciò che riguarda il coltan, la società americana Bay View Group stima che le miniera rwandesi producano minerale (utilizzato dall’industria elettronica) per circa 20 milioni di dollari l’anno. Mentre il governo rwandese dichiara esportazioni per oltre 400 milioni di dollari.
Sicurezza per chi?
Dunque se il presidente Tshisekedi vuole davvero mettere in sicurezza le aree del nordest del paese dovrebbe sbarrare la strada a questi traffici che consentono ai gruppi armati di finanziarsi. Gruppi armati, è bene specificarlo, che spesso non sono mossi da ragioni ideologiche ma sono degli “imprenditori” che traggono semplicemente vantaggio economico da un ambiente in cui lo stato è assente o è in combutta con i trafficanti.
E poi dovrebbe mettere in chiaro le cose con il Rwanda che da decenni interferisce pesantemente nelle faccende congolesi: sia direttamente (vedi le due guerre del 1996-1997 e 1998-2003) sia indirettamente attraverso la sponsorizzazione di gruppi armati sia direttamente con operazioni dell’esercito.
E invece no. Tshisekedi due mesi dopo aver indetto lo stato d’assedio ha incontrato, il 26 giugno 2021, a Goma (Nord Kivu) il presidente rwandese Paul Kagame. I due hanno sottoscritto tre accordi di cooperazione: in materia di investimenti, di fisco e un’intesa tra la società aurifera congolese Sakima e l’impresa rwandese Dither (che raffina l’oro). Un’operazione, quest’ultima, che è stata venduta come un meccanismo di controllo dell’intera catena aurifera così da impedire ai gruppi armati di finanziarsi con il commercio illegale di oro. Sarebbe meglio chiamarla operazione “fumo negli occhi” della comunità internazionale.
A questo punto – considerato che Tshisekedi dai primi di dicembre ha dato il via libera all’esercito ugandese di attraversare in confini dell’Rd Congo per dar man forte all’esercito congolese nella lotta al gruppo armato Forze democratiche alleate – non vorremmo che il presidente congolese quando parla di ristabilire la sicurezza nel nordest intenda dire che affida il compito a Uganda e Rwanda. Che non aspettano altro. (rz)