In calo, per il secondo anno consecutivo. Più vulnerabile, povera e meno occupata. Ma più imprenditoriale e, per la prima volta, più iscritta ai licei che agli istituti professionali. Questa l’istantanea della popolazione residente straniera in Italia, scattata dal 27° Rapporto Ismu sulle immigrazioni 2021, presentato stamattina da Fondazione Ismu alla Camera di commercio di Milano Monza Brianza e Lodi.
Una fotografia numerica che serve, come ribadiscono più volte i relatori e le relatrici, per restituire un volto necessario e importante, non solo per conoscere una presenza sempre più strutturata nel nostro paese, ma per costruire delle politiche che partano da dati scientifici.
Una popolazione, questa residente straniera che, al 1° gennaio 2021, corrisponde a 5 milioni e 756mila persone, cioè a circa il 10% del totale dei residenti nel nostro paese. Un numero oramai stabile e strutturato, ma in calo del 2,8% rispetto ai dati del 2020. Un calo che ha più cause, tra le quali la parziale risposta avuta dalle domande di emersione della sanatoria del luglio 2021. Ancora ferma, secondo i dati dello scorso ottobre, all’44,7% delle istanze presentate che, nell’83,6% dei casi hanno avuto esito positivo.
Ai numeri della popolazione regolarmente residente sul territorio si aggiunge quello delle persone prive di documenti. Al 1° di gennaio 2021, 519mila: un numero quasi pari alla totalità degli stranieri che ha fatto richiesta di sanatoria. Una presenza che di fatto, dal 2009, si mantiene costante al di sotto del 10%.
La provenienza degli oltre 5milioni e mezzo di stranieri presenti in Italia è, per il 70%, extraeuropea (3milioni e 543 mila unità, includendo anche il Regno Unito). Il gruppo nazionale più numeroso si conferma quello rumeno, che corrisponde al 23% del totale; seguito da quello albanese e marocchino. In calo il rilascio dei permessi di soggiorno, nel 2020 sono stati solo 107mila, il numero più basso degli ultimi 10 anni: il 40% in meno rispetto al 2019. A diminuire, in maniera esponenziale, sono soprattutto quelli per motivi di studio (-58,1%), seguiti dagli asilo-umanitari, famiglia e lavoro.
Tra nuovi cittadini e sbarchi
Aumentano invece le acquisizioni di cittadinanza. A conferma del dato della stabilità di questa presenza sul territorio: al 1° gennaio 2020 erano un milione e mezzo le nuove cittadine e cittadini. Tra questi, 335mila nati in Italia. Numeri che raccontano che oggi, ogni 100 stranieri ci sono in media 29 persone con nuova cittadinanza italiana, conseguita nel maggiore dei casi dopo almeno dieci anni di residenza in Italia. Tra le persone di origine straniera il 23,1% è cittadino italiano. Quasi un quarto del totale.
In aggiunta a chi risiede c’è chi arriva: in questi ultimi due anni sono aumentati anche gli sbarchi. Se il 2020 aveva già visto i dati triplicarsi rispetto al 2019; gli oltre 34mila sono raddoppiati a 67.040 nel 2021. Le prime tre nazionalità ad arrivare via mare lo scorso anno sono state tunisina, egiziana e bengalese. Tra le richieste di asilo, quelle più numerose sono state presentate da persone pachistane e bengalesi, rispettivamente 394 e 66 ogni 100 sbarchi, 8 su 100 quelle tunisine, 30 su 100 le richieste egiziane. Per un totale di 56.388 domande.
Tra disoccupazione e imprese
La pandemia, a sentire le relazioni, «ha definitivamente rotto il precario equilibrio sul quale si fonda il modello italiano di integrazione, rivelandone le implicazioni problematiche sul fronte della insostenibilità». Ciò che il Covid ha messo in evidenza è la maggiore vulnerabilità delle persone di origine straniera, che hanno ridotto la propria attività occupazionale. Il lavoro ha registrato una diminuzione importante, trainata soprattutto dalla componente femminile, che ha perso 6,5% punti percentuali sul dato occupazionale, contro quello maschile sceso del 3%. Dei 456mila posti persi tra il 2019 e il 2020, un quarto appartiene alle donne.
Numeri che incidono sull’aggravamento della povertà, che nel 2020 tocca il 29,3% delle persone straniere (il 7,5% di quelle italiane) e il 26,7% delle famiglie composte da sole componenti senza cittadinanza. Numeri che si leggono 415mila nuclei familiari, che diventano 568mila se si prendono in considerazione le famiglie miste. Così come per gli italiani, anche tra questa popolazione aumenta il dato dei lavoratori e lavoratrici povere, 25%.
Una voce positiva, in controtendenza, rimane quella delle imprese, che registra un incremento del 2,3% nel numero di titolari e soci nati all’estero. Nel primo trimestre del 2021, le imprese straniere registrano un saldo positivo di 16.197 unità.
A scuola
La popolazione residente straniera è una presenza sempre più importante nel mondo della scuola. Dove, gli alunni e le alunne senza cittadinanza italiana sono più di 870mila e rappresentano il 10,3% del totale della popolazione scolastica; per lo più concentrati nel nord Italia. Sono ragazze e ragazzi per quasi la metà del totale di origini europee, un quarto ha origini africane, il 20% asiatiche. Nelle classi sono rappresentati circa 200 paesi, ma le comunità più numerose sono Romania, Albania, Marocco e Cina.
Sono sempre meno le scuole che rimangono fuori da una presenza studentesca senza cittadinanza italiana: nell’anno scolastico 2019/20 solo il 17,9%. Mentre crescono quelle con il 30% e oltre di presenza scolastica di minori con genitori di origini straniere. Ma non necessariamente stranieri anche loro. I nati in Italia infatti rappresentano il 65,4%, sono oltre 570mila su 870mila studenti, un dato che continua ad aumentare.
Per la prima volta, il Rapporto Ismu segnala un sorpasso tra gli studenti iscritti al liceo su quelli iscritti agli istituti professionali. Nonostante sia ancora presente l’importante dato del ritardo scolastico. Un dato diminuito con il passare degli anni (in un decennio si è ridotto di oltre 10 punti percentuali), ma che racconta come il 30% della popolazione senza cittadinanza abbia difficoltà, soprattutto nelle scuole secondarie; e che si è di certo acuito per gli effetti della pandemia, che includono, inevitabilmente, anche questo settore, in cui il disagio di chi partiva da una condizione di difficoltà o diseguaglianza si è acuito.
Stato di salute
Un dato emerso in questo tempo è la maggiore esposizione della popolazione immigrata alle conseguenze della pandemia. Un maggior rischio di contagio e mortalità dovuti alle condizioni di vita e lavoro, e alla difficoltà spesso ad accedere all’assistenza sanitaria. Un dato su tutti, la diagnosi tardiva di due settimane dei casi Covid individuati tra gli stranieri, rispetto ai cittadini italiani. Un ritardo che ha fatto sì che si intervenisse in una fase più avanzata della malattia e con sintomi più gravi. Ritardo determinato da più cause: l’accesso alla medicina territoriale, le difficoltà linguistiche e quelle amministrative.