Una missione di ricerca sui flussi migratori tra le coste tunisine di Sfax, Zarzis, Menedin e l’Europa. Un rapporto, dal titolo Tunisie, porte de l’Afrique & frontière de l’Europe. Due firme, quella di Martina Costa di Avocats Sans Frontières en Tunisie, e Alessandra Sciurba, ricercatrice per i diritti umani dell’Università di Palermo, autrici del report, pubblicato dal Forum tunisien pour les droits economiques et sociaux (Ftdes). E un dato di fatto: il 2021, con le sue quasi 15mila persone arrivate via mare in Italia dalla Tunisia, conferma il paese nordafricano una delle principali terre di partenza.
Consapevolezza da cui parte anche la nostra politica, che, come abbiamo scritto diverse volte su questo sito, da tempo fa accordi con la Tunisia, a suon di milioni di euro, per bloccare i migranti che partono da quelle coste e/o rispedirli indietro, con voli charter organizzati. Tutto questo nonostante un altro report, Superare il mito della sicurezza in Tunisia, redatto sempre da Avocats Sans Frontieres Tunsie, Ftdes e Medici del mondo (Medecins du monde) e diffuso da Asgi, metta in discussione la definizione di “paese d’origine sicuro” adottata dall’Italia, ma non da non da Francia, Belgio, Germania e Inghilterra.
Costa e Sciurba, esaminando i dati e ascoltando i racconti della gente sul posto, descrivono coloro che partono, raccontano da dove principalmente avvengono queste partenze, come queste persone recuperano il denaro per affrontare la traversata. Da qui la descrizione di giovanissimi, soprattutto uomini, tra i 18 e i 25 anni, che si mettono in viaggio perché attratti da un mondo diverso dal loro, quello occidentale, che seguono sui social, che sperano meno difficile del loro mondo segnato dalla crisi economica e dai contrasti con la vicina Libia.
120 chilometri verso il futuro
Per partire, molti di loro vendono tutto quel che possono e hanno. Raggiungono per lo più Sfax, che dista solo 120 chilometri da Lampedusa, o Zarzis, dove si trova l’ex “Cimitero degli Ignoti”, in cui riposano circa 400 persone migranti di diverse nazionalità e religioni, sepolte su due livelli della terra, accompagnate da piccole lapidi senza nome.
Da queste coste non partono solo tunisini, diverse persone (circa 20mila secondo le due autrici) provengono da diversi paesi subsahariani che sperano nella Tunisia come luogo più facile e meno pericoloso. Diversi hanno un passato libico e sanno cosa voglia dire transitare da quel lato d’Africa, sui corpi e nei cellulari hanno ancora le testimonianze delle torture subite.
Il report mette in evidenza come le persone subsahariane siano più a rischio di essere vittime di frodi o truffe. Secondo le testimonianze raccolte dall’associazione Terre d’Asile Tunisie di Sfax, non è raro infatti che, dopo aver pagato la traversata, non ricevano una barca e si ritrovino invece abbandonate sul luogo in cui gli è stato dato appuntamento. Nonostante queste difficoltà, il numero di persone migranti che transitano da Sfax è stimato tra le 10mila e 12mila. La maggior parte proveniente da paesi francofoni come la Costa d’Avorio.
Tra mancata accoglienza e respingimenti
L’aumento degli arrivi e il peggioramento della situazione economica e sociale del paese hanno fatto sì che anche quelle realtà più accoglienti, come Zarzis, vivano ora la difficoltà della gestione dei migranti che transitano sul territorio. Oltre al fatto che, spiegano Costa e Siurba, per i nuovi arrivati non esiste un sistema di accoglienza strutturato o una legge nazionale che disciplini la domanda di asilo. Le domande di protezione internazionale sono trattate dall’Unhcr, nell’ambito di un accordo con lo stato tunisino che risale al 2011. La Tunisia, infatti, ha subappaltato il servizio a questo organismo Onu, che a sua volta ne delega la gestione e registrazione delle domande al Consiglio tunisino per i rifugiati (Ctr).
Il report si chiude con la preoccupazione rivolta agli accordi di esternalizzazione delle frontiere che l’Italia ha già firmato con la Tunisia. Accordi, come avviene con la Libia, di respingimento, non solo attraverso i charter di rimpatrio ma attraverso le rinnovate attività della Guardia costiera tunisina, che provvedono a intercettare e portare indietro coloro che partono. Con il risultato perverso del ritorno di decine di migliaia di persone nel limbo tunisino dove non vi è alcun programma di ricezione e gestione di queste persone.
L’appello è a una attenzione diversa verso questo paese, non solo finalizzata alla gestione e contenimento dei migranti, ma soprattutto a una politica che si impegni a sostenere quel che la Tunisia sta vivendo a livello politico, economico e sociale.