Un incubatore di disuguaglianze e instabilità, dove la vita in molte aree del mondo ha quasi perso valore. Questo è stato il 2021 secondo il nuovo rapporto di Amnesty International. Il Covid-19 ci ha messo lo zampino e alla fine ha rappresentato un pretesto per molti governi e poteri forti per stabilire il controllo e dominio sulle popolazioni e agire – in varie misure – in violazione ai diritti umani.
Senza contare l’intensificarsi della precarietà sociale e politica. Veniamo subito al continente africano. Qui la pandemia – si legge nel rapporto – ha avuto un effetto devastante sui diritti umani. Sono stati i civili a pagare il prezzo dei lunghi conflitti armati in corso: in Burkina Faso, Camerun, Repubblica Centrafricana, Repubblica democratica del Congo, Etiopia, Mali, Mozambico, Niger, Nigeria, Somalia e Sud Sudan.
Conflitti che hanno visto commettere crimini di guerra e altre gravi violazioni delle norme internazionali del diritto umanitario. In alcuni casi, tali violazioni rientrano nei crimini contro l’umanità. Situazioni che hanno fatto aumentare il numero degli sfollati e rifugiati interni e peggiorato la condizione di vita nei campi profughi.
Dal punto di vista dell’approccio al Covid-19 il report ricorda che a fine anno meno dell’8% degli oltre 1,2 miliardi di persone del continente era stato completamente vaccinato. Le misure per frenare la diffusione del Covid-19 “hanno fornito ai governi una giustificazione per la repressione del diritto al dissenso e ad altre libertà”.
Molti governi hanno vietato le proteste pacifiche, adducendo questioni di salute e sicurezza e quando i cittadini hanno sfidato i divieti e si sono riversati nelle strade, le forze di sicurezza hanno usato una forza eccessiva per disperdere i manifestanti.
Insomma: chiusura dello spazio civico, della libertà di espressione e dei media, criminalizzazione degli oppositori e persino leggi sulla sedizione armata, sul terrorismo e sulla diffamazione. A tutto questo si è aggiunta la stretta sulla discriminazione di genere.
Civili sotto attacco
Come abbiamo spesso scritto su queste pagine durante la pandemia e i periodi di lockdown è notevolmente aumentata la violenza domestica, i matrimoni precoci e forzati e l’esclusione delle ragazze incinte dalle scuole. Altro dato è quello che riguarda le persone Lgbti. Le molestie nei loro confronti si sono intensificate con arresti e procedimenti giudiziari.
Infine, diversi paesi sono stati particolarmente colpiti dalla siccità aggravata dai cambiamenti climatici. Ma veniamo più nello specifico. Sono i civili che hanno pagato il prezzo più alto dei conflitti in corso nel continente.
Nella regione dell’estremo nord del Camerun, dove operano Boko Haram e lo Stato islamico in Africa occidentale (Iswap). O nella Repubblica Centrafricana dove, secondo informazioni fornite dalla missione delle Nazioni Unite (Minusca), 228 civili sono stati uccisi solo tra giugno e ottobre a causa del conflitto. E poi l’Etiopia e il Tigray, dove il Fronte di liberazione popolare del Tigray (Tplf), le forze di sicurezza nazionale e le milizie sono stati responsabili del massacro, in molti casi basato sull’identità etnica, di centinaia di civili.
In Niger gli attacchi dell’Isgs (Stato islamico nel grande Sahara) ad alcuni villaggi hanno causato almeno 298 vittime. Nel nord-est della Nigeria, Boko Haram e Iswap hanno effettuato almeno 30 attacchi provocando più di 123 morti tra i civili.
Obiettivi civili anche nel conflitto di Cabo Delgado in Mozambico, dove si è registrato anche l’attacco di una compagnia militare privata assunta dal governo come forza di reazione rapida. In Somalia, l’Onu ha documentato 241 morti e 295 feriti tra i civili tra febbraio e luglio. Il gruppo terrorista al-Shabaab ha causato il 68% delle vittime, il resto è stato attribuito alle forze di sicurezza dello stato, alle milizie dei clan e alle forze internazionali e regionali, inclusa la missione dell’Unione africana.
Stupri e blocchi degli aiuti umanitari come armi di guerra
Nel report si legge anche che quasi tutti gli attori coinvolti nei conflitti armati in Africa hanno utilizzato la violenza sessuale come tattica di guerra. In Centrafrica, Minusca ha documentato almeno 131 casi di questo tipo. Assai diffusa la violenza sessuale indiscriminata nella Rd Congo: almeno 1.100 donne sono state violentate solo nel Nord Kivu e nell’Ituri tra gennaio e settembre.
In Etiopia, le parti in conflitto hanno commesso stupri diffusi contro donne e ragazze in Tigray e Amhara. In Sud Sudan, stimati almeno 63 episodi di violenza sessuale legati al conflitto, inclusi stupri di gruppo. Casi analoghi anche in Niger.
Il report racconta che anche blocchi e restrizioni all’accesso umanitario sono stati utilizzati come tattica di guerra. È accaduto in Burkina Faso, in Mali, ma anche in Camerun, Rd Congo, Etiopia e Sud Sudan. Una situazione che, secondo le stime dell’Onu, ha contribuito a lasciare oltre 5 milioni di persone in Etiopia, 19,6 milioni nella Rd Congo e 8,3 milioni in Sud Sudan in un disperato bisogno di assistenza umanitaria, in particolare cibo e medicine.
Impunità diffusa
In diversi paesi sono aumentate le violenze tra le comunità e i disordini politici. Citiamo il Camerun, dove da cinque anni è corso un conflitto civile separatista, l’Etiopia, dove la violenza tra diversi gruppi ha causato almeno 1.500 vittime. Ma anche la Nigeria, dove le violenze intercomunitarie tra pastori e comunità agricole, nonché gli attacchi di banditi, hanno provocato oltre 3.494 morti.
Il problema è che in quasi tutti i paesi, gli autori di tali crimini continuano a godere dell’impunità. Anche se ci sono stati arresti e emessi mandati di cattura, non sono seguite condanne o non sono state applicate o, ancora, i processi non si sono svolti secondo gli standard del diritto internazionale.
Peggiora l’accesso alle cure
Il periodo della pandemia è stato anche l’occasione per testare le strutture sanitarie dei paesi africani e per comprendere quanto il diritto alla salute dei cittadini rimanga spesso un’utopia. Oltretutto, gli sforzi dei governi per arginare l’ondata di Covid-19 sono stati ostacolati dalla disuguaglianza nella distribuzione del vaccino, la cui priorità è stata data ai paesi ad alto reddito.
Ai paesi africani i vaccini sono stati forniti principalmente attraverso la struttura Covax e donazioni bilaterali. Ma spesso le forniture erano insufficienti o i tempi di arrivo imprevedibili. In paesi come Rd Congo, Nigeria, Malawi e Sud Sudan sono arrivati con date di scadenza a breve termine, costringendo le autorità a distruggere le forniture.
Situazione che si è aggiunta alle difficoltà di raggiungere aree interne e la mancanza di fiducia delle popolazioni. I sistemi sanitari, già inadeguati, nella maggior parte dei casi sono stati messi a dura prova. In Somalia, un solo ospedale a Mogadiscio ha gestito tutti i casi Covid-19 nelle regioni centromeridionali per gran parte dell’anno.
In Congo, Rd Congo, Nigeria e Togo, gli operatori sanitari hanno scioperato o organizzato sit-in per denunciare sistemi sanitari disfunzionali o per chiedere mesi di salari non pagati. Per non parlare delle accuse di corruzione in relazione ai fondi Covid-19.
Istruzione e terra: diritti negati
Altra situazione critica nel 2021 in Africa è stata provocata dalla chiusura delle scuole. In Ciad, ad esempio, le iscrizioni delle ragazze alle scuole secondarie sono scese dal 31% del 2017 al 12% del 2021, anche a causa degli alti tassi di matrimoni precoci e forzati. In Sudafrica, circa 750mila bambini avevano abbandonato la scuola entro maggio, più di tre volte il numero pre-pandemia.
In Uganda, oltre il 30% degli studenti non è tornato a scuola alla riapertura. I bambini nei paesi colpiti da conflitti hanno sperimentato le maggiori difficoltà. In Burkina Faso, secondo l’Unicef, sono rimaste chiuse 2.682 scuole. Situazioni analoghe in Centrafrica e Niger.
Il rapporto sottolinea anche che nel periodo della pandemia alcuni governi o distretti hanno approfittato per attuare sgomberi forzati dei cosiddetti “insediamenti illegali” per fare il posto a progetti a volte non molto chiari e lasciando senza tetto migliaia di persone.
È accaduto in Ghana, Kenya e Nigeria e in Uganda, dove gli indigeni batwa sono stati cacciati dalla loro terra ancestrale nella foresta di Mgahinga. Anche nello Zimbabwe, migliaia di abitanti del villaggio sono stati cacciati dalla loro terra a Chisumbanje per consentire a una compagnia di combustibili di espandervi coltivazioni di canna da zucchero.
Repressione del dissenso
Le misure per frenare la diffusione del Covid-19 hanno anche fornito un pretesto per la repressione del dissenso, sia con la forza militare sia bloccando Internet. “Forza eccessiva” per disperdere le proteste pacifiche di centinaia o migliaia di persone è stata utilizzata in oltre 12 paesi. In eSwatini, la violenta dispersione dei manifestanti pro-democrazia iniziata a maggio ha provocato 80 morti e oltre 200 feriti.
In Sudan, almeno 90 persone sono morte quando le forze di sicurezza hanno utilizzato proiettili veri per disperdere le proteste contro il colpo di stato di ottobre. In Ciad sono state arrestate almeno 700 persone che protestavano contro il processo elettorale e poi contro l’istituzione del governo di transizione.
Ovvio che, in tale contesto, moltissimi siano stati gli attivisti presi di mira. In Rwanda, Yvonne Idamange, una YouTuber, è stata condannata a 15 anni di carcere per aver criticato la politica del governo. In Congo, Niger, Zambia e altrove le autorità hanno utilizzato le leggi sulla diffamazione per intimidire e mettere a tacere le voci critiche.
In eSwatini accuse inventate sono state mosse contro gli oppositori in base alle leggi sul terrorismo e sulla sedizione. E alcuni difensori dei diritti umani hanno pagato con la vita il loro impegno. Joannah Stutchbury, attivista ambientale in Kenya, è stata uccisa a colpi di arma da fuoco nella sua casa. E due giornalisti sono stati uccisi in Somalia.
Censura e intimidazioni
Leggi e politiche per limitare lo spazio per le organizzazioni non governative sono state introdotte o attuate in diversi paesi. In Togo, il governo ha sospeso la concessione e il rinnovo delle licenze delle ong. Il governo ugandese ha ordinato la sospensione di 54 organizzazioni per presunta violazione della legislazione sulle ong. In Zimbabwe, le ong sono state invitate a presentare piani di lavoro alle autorità prima di svolgere le loro attività.
Nel 2021 i governi hanno continuato a limitare la libertà dei media. In Angola, Burkina Faso, Rd Congo, Madagascar, Senegal, Tanzania, Togo e altrove sono stati sospesi giornali e stazioni radio e Tv. In alcuni paesi le autorità hanno preso d’assalto alcuni media interrompendo i programmi in diretta e distruggendone la proprietà. In Zambia, persone non identificate hanno dato fuoco alla stazione radio Kalungwishi nel distretto di Chiengi.
In Nigeria, le organizzazioni dei media hanno organizzato una campagna denominata “Information Blackout” per protestare contro due progetti di legge che minacciavano di inasprire la regolamentazione dei media e minare l’accesso alle informazioni.
Interruzioni di Internet e sospensione dei social media, sono stati registrati a eSwatini, Niger, Nigeria, Senegal, Sud Sudan, Sudan, Uganda e Zambia. Nel mese di giugno, le autorità nigeriane hanno sospeso Twitter dopo che il sito ha cancellato un controverso tweet del presidente Buhari per aver violato le regole del social.
A causa dei conflitti milioni di persone hanno dovuto lasciare le loro case: 1,5 milioni nella Rd Congo, portando il numero totale di sfollati interni nel paese a 5 milioni. In Somalia, dove più di 2,6 milioni di persone sono state sfollate negli anni precedenti, se ne sono aggiunte altre 573mila. Paradossalmente, anche alcuni paesi ospitanti, come Rd Congo ed Etiopia, hanno prodotto a loro volta un gran numero di rifugiati.
Peggiorata la situazione umanitaria e di sicurezza in quasi tutti i campi profughi e sfollati della regione. Campi che sono anche spesso presi di mira dai gruppi terroristici per fare proseliti tra i giovani.
Violenze sessuali in aumento
Dicevamo dell’aumento dei tassi di violenza sessuale e di genere. Livelli estremi sono stati raggiunti in Sudafrica, dove le statistiche ufficiali hanno mostrato un aumento del 74,1% dei reati sessuali. Almeno 117 i casi di femminicidio nella prima metà dell’anno. Notevolmente aumentate – testimonia il report – l’abuso su bambine e ragazze costrette a matrimoni di convenienza. La cosa paradossale è che alcuni governi, come quello della Guinea Equatoriale, abbiano emesso il divieto per le ragazze incinte di frequentare la scuola.
Altra situazione critica quella delle persone Lgbti. Alcuni attacchi sono stati filmati e diffusi sui social, è accaduto in Benin e in Senegal. Molti i paesi, tra cui il democratico Ghana, dove sono in corso – o sono state annunciate – revisioni delle leggi penali per aumentare le pene per gay, lesbiche e trans. E attacchi omofobici si sono registrati nei campi profughi di Kakuma e Dadaab in Kenya.
Disastri ambientali
Infine, alla pandemia si sono aggiunti gli effetti della siccità aggravata dai cambiamenti climatici. In Angola, le scarse precipitazioni hanno causato la peggiore siccità degli ultimi 40 anni. La malnutrizione ha raggiunto il picco a causa della mancanza di cibo, acqua potabile e servizi igienici adeguati.
Anche il Madagascar meridionale è stato colpito da una grave siccità che tocca soprattutto coloro che dipendono dall’agricoltura di sussistenza, dal bestiame e dalla pesca. In Sudafrica, a luglio è stato dichiarato “disastro per siccità” nelle province di Eastern Cape, Northern Cape e Western Cape. Preoccupazioni relative al degrado ambientale sono emerse in diversi paesi, tra cui Botswana, Congo, Rd Congo, Ghana, Namibia e Sudafrica.
In Botswana e Namibia, le licenze di esplorazione per l’estrazione del petrolio hanno continuato a essere concesse in aree sensibili dal punto di vista ambientale nel bacino del fiume Okavango alla società mineraria canadese ReconAfrica, nonostante l’impatto negativo sull’ambiente e sui diritti dei residenti locali, comprese le popolazioni indigene.
E un vasto inquinamento ha colpito i fiumi Tshikapa e Kasaï e i loro affluenti nel sud della Rd Congo. Inquinamento – ha affermato il governo – causato da una società di estrazione e lavorazione di diamanti con sede nell’Angola settentrionale. Il disastro ha provocato almeno 40 morti, malessere a centinaia di persone e la distruzione della vita acquatica.