Cinematografia africana in grande spolvero - Nigrizia
Arte e Cultura
Un bilancio del 31° Festival del cinema africano, d’Asia e America Latina
Cinematografia africana in grande spolvero
Il regista algerino Salah Issaad ha vinto ex aequo il concorso lungometraggi, mentre il centrafricano Rafiki Fariala ha meritato una menzione speciale. Mo Harawe, regista somalo, si è imposto nei cortometraggi. Alta la qualità dei 47 film proposti
13 Maggio 2022
Articolo di Anna Jannello
Tempo di lettura 5 minuti
Fotogramma del film "Soula" del regista algerino Salah Issaad

Il grande sforzo organizzativo per la ripresa in presenza della 31ª edizione del Festival del cinema africano, d’Asia e America Latina conclusosi l’8 maggio a Milano, è stato premiato dalla fedeltà del pubblico che ha seguito con partecipazione sia le proiezioni in sala che gli incontri all’”Ora del tè” con alcuni dei registi ospiti, presenti fisicamente o virtualmente su zoom.

La formula ibrida – 25 dei 47 film sono stati visibili anche online sul canale MYmovies.it per uno o più giorni – ha permesso una partecipazione non solo “milanese” al Festival.

Alta la qualità delle pellicole selezionate che ha reso difficile la scelta alle giurie dei tre concorsi. E così il concorso lungometraggi “Finestre sul mondo” ha avuto due vincitori ex aequo: il regista colombiano Simón Mesa Soto ha condiviso il premio più importante (8 mila euro, messo a disposizione dal comune di Milano) con l’algerino Salah Issaad.

Entrambi i film, prime visioni in Italia, hanno protagoniste femminili, le madri single Amparo e Soula che danno il nome alle rispettive pellicole. In Amparo, ambientato a Medellín negli anni Novanta, la protagonista lotta contro corruzione e violenza in una disperata corsa contro il tempo per salvare il figlio primogenito Elías, arruolato a forza nell’esercito, che sta per essere inviato in una pericolosa zona di guerra.

Anche in Soula il tempo è scandito con angoscia: Soula Bahri interpreta sé stessa nel film ispirato alla sua storia, quella di una antieroina araba che tenta di sottrarsi ai condizionamenti di una società conservatrice. Scacciata dalla famiglia, alla ricerca di una casa in cui rifugiarsi, la giovane donna non trova protezione nel fidanzato e padre della bambina.

In un lungo viaggio in macchina verso i locali notturni di Annaba, sulla costa algerina, la protagonista, travolta dai suoi errori, è vittima di violenze e umiliazioni: alcol, droga, falsi amici. Fino all’epilogo finale, l’abbandono della piccola, adagiata in una cassetta, alle onde del mare. Un dramma, quello dei bambini abbandonati – ha ricordato Salah Issaad agli spettatori del Festival – purtroppo frequente nella società algerina, in bilico fra modernità e tradizione.

Gli studenti centrafricani

Nous étudiants, l’altro film africano presente fra i dieci della sezione lungometraggi, ha meritato una menzione speciale insieme a Freda della regista haitiana Gessica Généus, racconto di resilienza femminile nell’isola caraibica devastata da povertà, violenza e da una pesante eredità coloniale.

Rafiki Fariala, 24 anni, ha girato Nous étudiants all’interno della facoltà di economia a Bangui raccontando la vita quotidiana dei suoi amici fra esami, speranze, delusioni, storie d’amore.

La sincerità con cui descrive l’inefficienza delle strutture universitarie o i soprusi della polizia sugli ambulanti non è piaciuta alle autorità della Repubblica Centrafricana: dopo una prima visione all’Alliance française di Bangui per l’apertura del Festival afro-europeo, la ministra della Cultura Jennifer Saraiva-Yanzeré ha vietato ulteriori proiezioni della pellicola per “incitamento all’odio”. Il regista avrebbe dovuto essere presente al Fescaaal ma non ha potuto lasciare il suo paese, pena il licenziamento dall’istituto dove insegna.

Un’altra menzione speciale è andata per il concorso EXTR’A (vi hanno partecipato sedici film di registi italiani che si confrontano con altre culture) ad Amuka di Antonio Spanò, documentarista milanese che racconta la resilienza di alcuni contadini e allevatori congolesi che, con grande forza d’animo e senso di responsabilità, resistono a guerre e corruzione unendosi in cooperative e guadagnandosi indipendenza e sostentamento nella paradossale situazione del loro paese: la Repubblica democratica del Congo potrebbe nutrire quasi una persona su due del pianeta, eppure 12 milioni di suoi cittadini soffrono la fame.

Le départ

Giocato tutto fra giovani registi africani e della diaspora, il concorso Cortometraggi – undici film brevi fra fiction e documentari – è stato vinto da Mo Harawe, regista somalo che dal 2009 vive in Austria, con Will my parents come to see me? Pellicola impegnativa che descrive la “procedura” prima dell’esecuzione di una condanna a morte: il giovane Farah, assistito da una matura soldatessa, affronta la visita dal medico, le istruzioni dall’ufficiale giudiziario, l’assistenza dell’imam.

Menzioni speciali sono andate a Astel, un corto ambientato in una zona pastorale del nord del Senegal, dove Ramata-Toulaye Sye, nata a Parigi da genitori senegalesi, dipinge con poetica delicatezza il passaggio dall’infanzia all’adolescenza della protagonista tredicenne e la sua separazione dall’amato padre.

E a Chitana della regista tunisina Amel Guellaty che ha come protagoniste Sophie e Eya, di dodici e dieci anni, desiderose di avventurarsi nel bosco vicino a casa, luogo proibito alle bambine. Scoprirlo è una grande emozione e fanno incontri meravigliosi come un magnifico cavallo bianco, ma la libertà comporta dei rischi e le due sorelle se ne rendono presto conto.

Mentre a un altro corto, Le départ del produttore cinematografico marocchino Saïd Hamich, al suo secondo lavoro come regista, è stato attribuito il premio Cinit – Cineforum italiano che garantisce la distribuzione in Italia a un cortometraggio africano con valore educativo.

Le départ affronta il tema dell’emigrazione da una prospettiva originale: il passaggio di Adil, 11 anni, da un’infanzia serena di giochi nel suo villaggio in Marocco alla partenza, alla fine delle vacanze, con il padre e il fratello maggiore per la Francia, lontano dall’amatissima mamma.

Il Fescaaal si è aperto con un film africano – il bellissimo Twist à Bamako – e si è concluso con la proiezione di Kung Fu Zohra del regista di origine franco-tunisina Mabrouk El Mechri che tra realtà, commedia e parodia dei film di arti marziali, racconta la storia di violenza domestica e empowerment femminile di una giovane donna marocchina a Parigi. Zohra, la protagonista, riesce ad affrancarsi dal marito violento grazie all’incontro con Chang Sue, un maestro di Kung-Fu, deciso a fare di lei la sua discepola.

 

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