Non resta tempo da perdere per il rilascio di Alaa Abdel Fattah, il simbolo delle rivolte di piazza Tahrir del 2011. Il 40enne attivista socialista è da 47 giorni in sciopero della fame per le dure condizioni di detenzione e l’essere stato privato dei suoi diritti fondamentali. Ma non sembra ancora vicino il giorno del suo rilascio. Eppure, per la prima volta, il Consiglio nazionale per i diritti umani (Nchr) ha parlato del caso di Alaa, formulando la richiesta che termini il suo sciopero della fame e avanzando la rassicurazione che i suoi diritti non saranno negati.
Simbolo di una generazione
Alaa è detenuto al Cairo, nel carcere di massima sicurezza di Tora. Secondo sua zia, la scrittrice Ahdaf Soueid, le dichiarazioni del Nchr possono essere interpretate come un primo segnale positivo in questo caso. L’attivista è stato arrestato nel settembre 2019 ed è stato picchiato al suo arrivo in prigione. Rimasto in detenzione preventiva fino alla fine del 2021, è stato condannato a cinque anni di reclusione per diffusione di notizie false, accusa comune a molti altri detenuti politici egiziani.
Come se non bastasse, i due anni di detenzione preventiva non produrranno una riduzione della pena. Alaa era stato arrestato dopo aver condiviso un tweet in cui accusava l’ufficiale Ahmed Fekry, di aver ucciso prigionieri politici nella prigione di Tora. Ed è stato incarcerato nella stessa prigione dove opera Fekry che avrebbe organizzato uno degli attacchi violenti che ha subito.
La sua famiglia ha sempre denunciato le condizioni di detenzione di Alaa a cui non è stato assicurato il diritto a non essere detenuto al buio, a leggere, ad ascoltare la radio e consultare giornali, a fare esercizi fisici, a ricevere visite regolari da parte della sua famiglia, come si legge nel libro che raccoglie i suoi scritti dal carcere, recentemente pubblicato in Italia: Non siete stati ancora sconfitti (Hopefulmonster).
La dichiarazione del Nchr è arrivata dopo la petizione firmata dalle madri di 500 detenuti inviata alla guida del Consiglio, Moushira Khattab, affinché eserciti i suoi poteri per favorire un trasferimento di Alaa nell’ospedale della prigione, a causa del deterioramento delle sue condizioni di salute. In diversi post su Facebook, la sorella e attivista Mona Seif ha denunciato almeno cinque episodi di violenze in carcere, subiti negli ultimi anni dal fratello.
L’attesa dei prigionieri politici
Il nome di Alaa Abdel Fattah è stato incluso nella lista di prigionieri politici che potrebbero aspirare a una grazia presidenziale nelle prossime settimane. Ma secondo fonti del quotidiano online indipendente Mada Masr, Alaa, che ha ottenuto la doppia cittadinanza egiziana e inglese durante la sua detenzione, e anche uno dei leader del movimento 6 aprile, Ahmed Douma, non sarebbero inseriti tra i detenuti che saranno rilasciati questo mese.
Anche l’esponente del Nchr Mohamed Anwar al-Sadat, ha espresso preoccupazione in merito ai proclami del presidente Abdel Fattah al-Sisi in tema di dialogo nazionale. Sebbene al-Sadat consideri positivamente l’iniziativa, ha avvertito che il dialogo «non otterrà i suoi obiettivi» se sarà guidato dalle associazioni giovanili affiliate alle agenzie di sicurezza. Al-Sadat ha auspicato che gli egiziani possano avere la possibilità di partecipare in maniera significativa alla vita politica in futuro, con un rinnovato «contratto sociale tra politici e cittadini».
Un simile moderato ottimismo è stato espresso rispetto al Comitato per la grazia presidenziale. In questo caso, se, da una parte, il membro del comitato, Tarek al-Awady, ha rivelato che nei prossimi giorni mille prigionieri politici saranno rilasciati, dall’altra, il suo omologo, Tarek el-Khouly, ha negato che ci siano prigionieri politici in Egitto, nonostante i dati che dicono il contrario, resi noti da vari think tank tra cui il Centro per la trasparenza, la documentazione e la gestione dei dati.
Deboli pressioni internazionali
Gli attivisti egiziani avevano riposto molte aspettative nelle pressioni che sarebbero potute arrivare dall’amministrazione di Joe Biden negli Stati Uniti, dopo gli anni di accondiscendenza assicurati dall’ex presidente Donald Trump. Un gruppo bipartisan di senatori Usa ha approvato una risoluzione di condanna ai limiti imposti alle libertà di espressione e di stampa nel mondo, sottolineando gli attacchi e le incarcerazioni subite dai giornalisti egiziani.
Nel testo si fa riferimento in particolare ai casi di Alaa Abdel Fattah, del giornalista Ismail Iskenderani, del giornalista di al-Jazeera Hisham Abdel Aziz, del fotografo Mahmopud Abou Zeid. Come se non bastasse, la polizia egiziana ha disposto la detenzione della giornalista Safaa al-Korbigi con l’accusa di “far parte di un’organizzazione terroristica”, dopo due giorni di sparizione forzata. Al-Korbigi aveva più volte partecipato a scioperi dei giornalisti ed era stata licenziata dalla radio pubblica.
Restano ancora da chiarire le circostanze della morte in custodia del ricercatore Ayman Hadhoud, che aveva criticato apertamente il governo prima di essere arrestato lo scorso febbraio. La sua famiglia ha saputo della sua morte solo lo scorso aprile. Secondo il fratello, Ayman presentava segni di violenza sul corpo.
Eppure nelle scorse settimane erano arrivate alcune buone notizie, come la liberazione di 41 detenuti politici in detenzione preventiva, tra cui il giornalista Mohamed Salah, marito della giornalista rilasciata lo scorso luglio, Esraa Abdel Fattah, e Walid Shawky, tra i fondatori del movimento 6 aprile.
Tra i detenuti rilasciati anche Radwa Mohamed, arrestata dopo aver diffuso video su Youtube che criticavano il presidente al-Sisi, e Haitham al-Banna che aveva scritto dei suoi ricordi della rivoluzione del 25 gennaio 2011. Pochi giorni prima era stata rilasciata anche la giornalista Rasha Azab che aveva difeso sei donne che avevano subito molestie.
Infine, aspettano ancora una parola definitiva sulla loro sorte giudiziaria lo studente dell’Università di Bologna Patrick Zaki, il sui processo è stato rinviato al prossimo 21 luglio, e lo studente della Central European University di Vienna Ahmed Samir Santawy, la cui prossima udienza è prevista per il 6 giugno.
E così, con condizioni di detenzione dure, lunghe custodie cautelari, rinvii continui, rotazioni con accuse contraddittorie per prolungare la loro detenzione preventiva, accuse vaghe di affiliazione a organizzazioni terroristiche, i detenuti politici egiziani continuano a soffrire per la mancanza di diritti e le condizioni di costante violazione delle loro libertà fondamentali.