I flussi finanziari illegali privano l’Africa ogni anno di circa 88,8 miliardi di dollari, pari al 3,7% del suo Prodotto interno lordo. Sono stime dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (Unodc), citate nei giorni scorsi dal presidente del Kenya, Uhuru Kenyatta, alla quarta Conferenza generale dei pubblici ministeri dell’Africa, dell’Oceano Indiano e dell’Africa Orientale, svolta dal 16 al 20 maggio nella città costiera di Mombasa, e incentrata su “Meccanismi efficaci per rispondere alla criminalità organizzata emergente e transnazionale in Africa: esperienze e sfide nazionali”.
La sfida di combattere i crimini organizzati transnazionali, come il terrorismo, la corruzione, il traffico di droga, il riciclaggio di denaro, la contraffazione e il contrabbando, si sta aggravando perché «le reti criminali stanno utilizzando i progressi della tecnologia» ha aggiunto Kenyatta, invitando i governi africani a investire più risorse nella lotta a corruzione e crimine organizzato transnazionale.
Kenyatta ha poi individuato un altro anello debole nei sistemi legislativi. «I sistemi di giustizia penale in Africa hanno bisogno di un approccio più stringente per identificare, rintracciare, congelare e confiscare i fondi e i proventi del crimine, e per rimuovere gli incentivi finanziari e i benefici monetari di tali crimini».
Avorio
A riprova della vastità dei traffici illegali in corso nel continente, il recente sequestro nel sudest della Repubblica democratica del Congo, di una tonnellata e mezza di avorio (proveniente da un centinaio di elefanti uccisi), per un valore stimato di 6 miliardi di dollari. Uno dei più grandi sequestri avvenuti in Africa da anni.
Il team investigativo dell’Istituto congolese per la conservazione della natura (Iccn) – composto da polizia, funzionari del tribunale e attivisti dell’ong Conserv Congo – ha scoperto le zanne in un edificio il 14 maggio scorso della città di Lubumbashi, importante snodo dei traffici regionali.
La polizia ha arrestato cinque persone, ritenute membri di uno dei principali circuiti di traffico di animali selvatici della regione, ma due sono fuggite dopo essere state interrogate. L’operazione, ancora in corso, è frutto di tre anni di indagini.
Purtroppo spesso, in raid di questo tipo, a finire in manette sono gli intermediari, ma raramente si arriva alla cattura di coloro che organizzano, finanziano e beneficiano maggiormente di questo commercio illegale, ha affermato Chris Morris, che lavora con l’organizzazione con sede in Kenya Saving Elephants through Education and Justice (Seej). «Questi sono cartelli potenti. Sono preparati alle perdite dovute a sequestri e arresti», ha aggiunto.
La Rd Congo è uno degli snodi principali. Secondo l’Agenzia investigativa ambientale (Environmental Investigation Agency – Eia, ong con sede nel Regno Unito), dal 2000 al 2014 le autorità congolesi hanno recuperato otto tonnellate di avorio, mentre tra il 2015 e il 2019 ne sono state sequestrate 20 tonnellate. I principali paesi di provenienza sono Sudafrica, Zimbabwe e Zambia. I mercati finali sono quelli asiatici, Cina, Tailandia e Vietnam in particolare.
Palissandro
Il bracconaggio e il traffico di parti di animali a rischio estinzione è facilitato e si lega anche al dilagante commercio illegale verso la Cina del legno di palissandro, che sta decimando le foreste dell’Africa occidentale. Nel suo recente rapporto, l’Eia fa notare che solo dal Mali, tra maggio 2020 e marzo 2022, la Cina ha importato 220mila alberi, pari a 148mila tonnellate di palissandro kosso, nonostante il divieto di taglio e commercio internazionale.
Un commercio che sostiene i gruppi jihadisti, radicati nel paese, con enormi impatti negativi sul piano ecologico – la maggior parte del disboscamento avviene in aree protette come le riserve forestali, in violazione del codice forestale -, economico e sociale.
Il Mali aveva imposto un divieto taglio del palissandro nel 2020, revocandolo però l’anno successivo. Da allora è in vigore un generico “divieto di esportazione di tronchi”, ma l’export verso la Cina è continuato, hanno scoperto gli investigatori dell’Eia, che stimano che più di 5.500 container di kosso siano arrivati nel paese asiatico da maggio 2020 a marzo di quest’anno.
Lo stesso studio fa notare che complessivamente, negli ultimi cinque anni, la Cina ha importato dal Mali mezzo milione di alberi di kosso, per un valore di circa 220 milioni di dollari.
Corruzione
Nello sfruttamento rapace e indiscriminato delle risorse, assieme alla fragilità del sistema penale, gioca un ruolo fondamentale la corruzione.
Sempre secondo il rapporto di Eia, sia il commercio illegale di kosso che il monopolio delle esportazioni – concesso a Générale Industrie du Bois, una società gestita da un imprenditore maliano -, si basano su una “corruzione profondamente radicata” che include l’utilizzo di permessi non validi per spedire il legno.
Tangenti che, denuncia l’Eia, hanno percepito anche i dipendenti pubblici per chiudere gli occhi davanti al disboscamento e il traffico illecito. Grazie a questa rete capillare di mazzette, i camion spostano i tronchi da Bamako, la capitale del Mali, al porto di Dakar, in Senegal, da dove vengono spediti in Cina.
Il traffico di palissandro è anche un canale per il contrabbando di altre merci. In alcuni casi infatti, all’interno dei tronchi sequestrati, è stato trovato avorio, parte del quale proveniente dall’elefante del deserto Gourma, ormai quasi annientato in Mali. Tra i paesi di provenienza anche Ghana, Gambia.