Ripristinare un miliardo di ettari di terra degradata con programmi da attuare entro il 2030. Farlo prima che il suolo – quello dei pascoli, quello agricolo, quello che dà vita e sostentamento – si trasformi in un enorme deserto. È uno dei principali obiettivi con il quale si è chiusa, il 20 maggio, la Cop 15, incontro di esperti, politici e amministratori locali per la lotta alla desertificazione (Unccd), organizzato sotto l’egida delle Nazioni Unite.
Tema (e motto) di quest’anno “Land. Life. Legacy: from scarcity to prosperity”. Una prosperità che ha solo otto anni per manifestarsi, per emergere, ribaltando quella che oggi è invece una grave crisi che investe in misura diversa varie parti del mondo, ma i cui effetti spaventano soprattutto le aree – e le popolazioni – più in difficoltà del pianeta. A partire dal continente africano, dove siccità e desertificazione sono già tra le principali cause di abbandono delle terre, dei propri villaggi e di migrazioni forzate.
Ed è proprio in terra d’Africa, ad Abidjan, in Costa d’Avorio, che si è tenuto il 15° vertice aperto il 9 maggio. Il primo di tre incontri della Convenzione di Rio che si terranno nel corso di quest’anno. I prossimi sono in programma a Kunming, in Cina e a Sharm El-Sheikh, in Egitto. Proprio quest’ultimo paese ha recentemente annunciato una nuova strategia nazionale per la lotta al cambiamento climatico. Strategia che prevede un costo totale di circa 344 miliardi di dollari.
Ma torniamo all’incontro di Abidjan dove ci si è concentrati soprattutto sulla questione siccità. Una situazione critica che non accennerà a diminuire anche se i livelli di precipitazione dovessero rimanere gli stessi nei prossimi 10 anni. Le previsioni degli esperti si esprimono – in modo semplice – così: più evaporazione, meno acqua, soprattutto se le temperature continueranno a salire. Situazione estrema che inciderà sulle coltivazioni, sugli animali e naturalmente sulla salute degli esseri umani.
Secondo l’Omm (organizzazione metereologica mondiale) una valutazione del 2014 ha stimato che l’esposizione alle particelle di polvere ha causato circa 400mila morti premature per malattie cardiopolmonari nelle popolazioni adulte nelle aree colpite dalla desertificazione. E le condizioni climatiche dal 2014 non sono migliorate. Anzi.
Ma questo vertice, durato 11 giorni, non ha visto né grande partecipazione, né la soddisfazione della società civile che ancora una volta lamenta esclusione e superficialità nel trattare tematiche così rilevanti per il futuro di tutti. «Queste piattaforme sono solo per persone di alto livello e non ci ascoltano», ha affermato Mailes Zulu Muke di Save Environment and People Agency, ong zambiana. «A queste conferenze – ha detto un altro partecipante – ci sono solo accademici e ministri, non persone che lavorano sul campo. E la maggior parte delle politiche mancano di piani di attuazione».
Insomma, hanno sottolineato alcuni esponenti della società civile (quelli presenti ma anche quelli non invitati all’incontro): «si continua a parlare mentre l’ambiente continua a degradare velocemente». Pare dunque che non ci sia grande fiducia in incontri di tal sorta che raccolgono, come in questo caso, 7mila partecipanti provenienti da 196 paesi.
Intanto Ibrahima Thiaw, segretario esecutivo della Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta contro la desertificazione, ha ricordato che la questione del ripristino del territorio è cruciale per l’umanità. Il 40% del pianeta è già degradato e 1/4 delle emissioni di gas serra deriva appunto dal degrado del suolo. Il vertice ha garantito comunque al governo della Costa d’Avorio di portare a casa un risultato: il finanziamento per circa 1,4 miliardi di dollari di un programma quinquennale di riforestazione e di recupero dei terreni.