Mal(e) d’Africa: crescere in Repubblica Centrafricana - Nigrizia
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Situazione terribile per i giovani, vittime del conflitto
Mal(e) d’Africa: crescere in Repubblica Centrafricana
Nel paese, devastato da dieci anni di guerra, giovani e bambini convivono quotidianamente con stress, paura e con i traumi psicologici causati dalle violenze subite. E con la persistente privazione di diritti fondamentali come la salute e l’istruzione
24 Giugno 2022
Articolo di Lucia Michelini (da Bangui)
Tempo di lettura 7 minuti
Un campo profughi a Bangui (Credit: Lucia Michelini)

Grande ben due volte l’Italia, la Repubblica Centrafricana conta appena 5.4 milioni di abitanti ma, nonostante – o forse proprio a causa – l’impressionante ricchezza in risorse naturali (oro, diamanti, uranio, petrolio, tra gli altri), rimane uno dei posti più poveri e fragili al mondo.

L’insicurezza imperversa nella capitale Bangui come nel resto del territorio da decenni: il conflitto in corso, che coinvolge gruppi armati e forze governative del presidente Faustin Archange Touadéra risale al 2012, con l’inizio della guerra civile. Sebbene dal 2014 sia operativa la Missione multidimensionale integrata delle Nazioni Unite per la stabilizzazione e la pace (Minusca, sul cui rinnovo si voterà il 29 giugno), violenze continue hanno luogo in tutto il paese e nella capitale vige un coprifuoco militare da mezzanotte alle cinque di mattina.  

La Repubblica Centrafricana occupa anche il penultimo posto nel ranking globale dell’indice di sviluppo umano stabilito ogni anno dall’Undp, indicatore che dà un’idea della qualità della vita dei paesi, basandosi sulla combinazione di prodotto interno lordo pro capite, speranza di vita ed alfabetizzazione. Ed è proprio il tasso di alfabetizzazione, pari ad appena il 37% della popolazione adulta, a rappresentare un ulteriore record negativo per il paese. Ma cosa vuol dire andare a scuola e crescere in Repubblica Centrafricana?

Per rendersi conto delle condizioni in cui gli studenti sono costretti ad apprendere, basta visitare una scuola pubblica di Bangui. Centoventi bambini, madidi di sudore, sono stipati in un’unica classe senza ventilatori o sistemi di areazione. «Non abbiamo acqua potabile, quando i ragazzi hanno sete bevono quella del bagno», spiega un insegnante. «I nostri studenti hanno spesso disturbi intestinali e contraggono batteri e parassiti proprio qua, a scuola, dove dovrebbero essere sicuri e tutelati», continua il professore.

Questo centro scolastico, situato in uno dei quartieri meglio serviti della capitale, la dice lunga sulle altre scuole di periferia o delle regioni interne, molto più lontane dai riflettori della scena pubblica e sicuramente in uno stato funzionale ancora più deplorevole.

Oltre alla frequenza delle lezioni, resa complicata dalle inadeguate condizioni strutturali degli edifici e dai limitati materiali didattici a disposizione, anche il tragitto da casa a scuola è per la maggior parte degli allievi molto problematico. «La mattina devo prendere il taxi», spiega una giovane studentessa di appena 13 anni. «Quando monto nel veicolo se con me ci sono dei passeggeri uomini, posso stare sicura che non mi lasceranno in pace», dice alludendo alle continue avances, anche fisiche, alle quali è esposta per recarsi a scuola.  

«A me invece fa paura la pioggia», afferma un bambino seduto in prima fila. «Con le strade allagate devo stare a casa, è troppo pericoloso spostarsi». Ed ha ragione, gli incidenti stradali sono all’ordine del giorno e quando piove numerosi quartieri della capitale finiscono per essere inondati, cosa che rende la guida ancora più rischiosa. Inoltre, le vie di Bangui brulicano di moto-taxi spesso guidati da giovani che per essere più prestanti, assumono droghe o medicinali, come il tramadolo, un oppioide di origine sintetica usato solitamente in medicina come antidolorifico.

In Repubblica Centrafricana andare a scuola è o troppo pericoloso o troppo costoso e solo il 49% dei bambini arriva a completare il ciclo di istruzione primaria.

Nel quartiere Bégoua, zona nord della capitale, i giovani che per un motivo o per l’altro hanno dovuto abbandonare gli studi corrono il rischio di essere arruolati dai gruppi armati nascosti nella periferia. «Da quando sono arrivati i ribelli la gente non può più andare a coltivare i campi e le ragazze che camminano da sole rischiano di essere violentate», spiega con veemenza un’esponente del Consiglio locale della gioventù.

Quartiere allagato nella periferia di Bangui (Credit: Lucia Michelini)

Traumi psicologici

Ma nel paese non solo l’istruzione è un’esclusiva di pochi, anche l’accesso alle cure mediche è qualcosa che non tutti possono permettersi.

Jean, di 12 anni, riferisce che quando gli capita di non sentirsi bene la sua famiglia non ha i mezzi per portarlo all’ospedale. «Ci rechiamo dai venditori ambulanti per comprare qualche pastiglia e se queste non fanno effetto i miei genitori aumentano semplicemente il numero di preghiere!», racconta. 

Per non parlare poi dei disturbi legati alle sfere cognitiva ed emozionale: quando un bambino soffre di incubi o sintomi dovuti ad un evento traumatico, ci si rivolge spesso a guaritori tradizionali, marabutti e sciamani, principali “professionisti” disponibili in Repubblica Centrafricana.

I giovani che crescono nel paese sono esposti ad una serie di privazioni dei loro diritti fondamentali. Non sempre hanno accesso ai servizi sociali di base e sono inoltre soggetti ad un numero elevato di pericoli. Aggressioni, verbali e fisiche, conflitti, incidenti stradali, abusi, solo per citare qualche esempio.

«Io ho paura quando devo uscire di casa per andare a prendere l’acqua», racconta Ester, una giovane profuga di guerra proveniente dall’est ed ora ospite di un centro di tutela per ragazze (l’Unicef stima che oggi in Repubblica Centrafricana ci siano 370mila bambini sfollati a causa delle violenze in corso). Lei e le altre giovani del centro, non avendo acqua corrente in casa, sono costrette a spostarsi a piedi spingendo un piccolo carretto carico di taniche da riempire.

«La gente del quartiere non ci vede di buon occhio. Ci considerano “diverse” e siamo additate come fattucchiere. Il peggio arriva con la stagione secca, quando l’acqua scarseggia e l’unico pozzo disponibile è lontano quattro, cinque chilometri da dove alloggiamo. Lungo tutto il tragitto siamo esposte ad insulti e accuse», racconta Ester. «Abbiamo anche paura che ci rapiscano», aggiunge, alludendo ai casi di rapimento di minori che a volte si verificano con lo scopo di effettuare sacrifici umani per esorcizzare paure dettate dal timore del diverso e dell’ignoto.

Ognuno dei pericoli con cui i giovani devono convivere quotidianamente può avere un importante impatto sul piano non solo della loro salute fisica, ma anche psicologica. Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari, a livello nazionale, quasi una famiglia su due conterebbe almeno un bambino con un disturbo mentale (Ocha 2021). 

L’ospedale di Medici senza Frontiere “Sica” di Bangui si prende cura delle persone in emergenza chirurgica, ma da settembre 2021 ha integrato uno psicologo e due consulenti psicosociali. I pazienti che si rivolgono al centro hanno tutti una storia di vita caratterizzata da fatti violenti, perdite e lutti, e contemporaneamente sono costretti ad affrontare difficoltà quotidiane di natura finanziaria, educativa e professionale.

Solamente tra il primo settembre e il primo dicembre il servizio di salute mentale ha trattato 62 pazienti ed effettuato 342 consultazioni individuali. Il 17% delle persone trattate aveva un disturbo legato a un evento traumatico, il 50% un disturbo depressivo e il 52% un disturbo d’ansia. 

Aurelia Barbieri, psicologa per Medici senza Frontiere, completa il quadro spiegando: «Tra i nostri pazienti ci sono donne, giovani, adolescenti, ma anche uomini, ragazzi e bambini che vengono per la presa in carico dopo essere stati violentati. I numeri sono sconcertanti. La violenza sessuale è molto frequente e atroce, ma nella quasi totalità dei casi non si tratta del solo evento traumatico che può aver segnato la vita delle persone che curiamo».

Il contesto precario, la lunga storia di conflitti, assieme all’evidente carenza di servizi sociali di base, rischiano di rendere ancora più vulnerabile la giovane popolazione centrafricana che convive e cresce con traumi psicologici non propriamente trattati. «Questo è un paese in emergenza umanitaria da troppi anni – commenta la dottoressa – e la maggior parte delle persone vivono in uno stato costante di stress, paura, tristezza e perdita di speranza».

 

 

 

 

 

 

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