Le tensioni per le elezioni del 9 agosto in Kenya travolgono anche Facebook. La Commissione nazionale per la coesione e l’integrazione (Ncic, creata nel 2008 per mitigare il conflitto etnico-politico sulla scia di violenze post-elettorali senza precedenti) ha dato alla piattaforma social un ultimatum di sette giorni per far rispettare le linee guida sulla prevenzione dell’incitamento all’odio, pena la sospensione del servizio.
L’intervento della Ncic è arrivato in seguito alla pubblicazione, il 28 luglio, di un rapporto dell’organizzazione Global Witness che accusa Facebook di non essere intervenuto per oscurare decine di post che incitavano alla violenza, e ne chiedeva la sospensione fino alla conclusione delle elezioni. Il rapporto afferma che 20 annunci in inglese e kiswahili contenenti incitamento all’odio sono stati approvati per la pubblicazione, e questo nonostante le rassicurazioni fornite di recente da Meta.
Secondo l’ong, il potente social media dovrebbe intraprendere una serie di azioni simili alle misure applicate negli Stati Uniti immediatamente dopo l’assalto del 6 gennaio 2021 al Campidoglio.
Il giorno dopo l’ultimatum della Ncic però, il ministro dell’informazione, delle comunicazioni e delle telecomunicazioni Joseph Mucheru ha affermato di non aver intenzione di chiudere Facebook. «La libertà di stampa è una cosa a cui teniamo, che si tratti dei media tradizionali o dei social media», ha dichiarato alla Reuters.
Posizione ribadita anche dal ministro dell’interno Fred Matiang’i che in un tweet ha affermato che l’interruzione dell’accesso alla piattaforma violerebbe i diritti di libertà di parola degli oltre 11 milioni di utenti Facebook del Kenya.
Non è la prima volta che Facebook viene accusato di non essere in grado di bloccare contenuti violenti. Solo lo scorso giugno uno studio dell’Institute for Strategic Dialogue sui media digitali ha denunciato che il social network non è riuscito a bloccare i post estremisti colmi di odio pubblicati dai due gruppi terroristi al-Shabaab e Stato islamico (Is) in Africa orientale.
In particolare, gli autori del report avvertivano che tali appelli all’odio intaccando la fiducia nelle istituzioni democratiche e rappresentano una minaccia per le elezioni in Kenya, già in passato segnate da sanguinose violenze.
Queste gigantesche falle nel controllo, scrive Global Witness citando segnalazioni dei dipendenti, sarebbero dovute al fatto che «Zuckerberg non sta più dando la priorità alla salvaguardia delle elezioni, ma si sta concentrando sul cosiddetto “metaverso”, la nuova frontiera della crescita di Meta».
L’organizzazione fa inoltre notare che all’inizio di quest’anno un ex moderatore di Facebook ha intentato una causa in Kenya contro Meta e la sua società di outsourcing locale Sama, denunciando le condizioni di lavoro precarie, tra cui «retribuzione irregolare, supporto inadeguato per la salute mentale, mancanza di sindacati e violazioni della privacy e della dignità».
Intanto, sono arrivati ieri a Nairobi i 52 membri della missione di osservazione elettorale della Comunità dell’Africa orientale (Eac), guidati dall’ex presidente della Tanzania Jakaya Kikwete. (MT)