I circa 14 milioni di cittadini angolani, diaspora compresa, sono chiamati alle urne il 24 agosto. Eleggeranno i 220 deputati del parlamento e il presidente, che sarà il capolista del partito più votato fra gli otto in lizza. E lo faranno in un clima teso, altamente competitivo e pieno di speranze e timori.
La novità è che ci sarà partita, per usare una metafora sportiva. L’unica volta in cui uno scenario simile ha accompagnato le elezioni in Angola è stato nel lontano 1992 quando, in occasione delle prime elezioni libere, José Eduardo dos Santos raggiunse il 49,5% al primo turno, e l’eterno rivale, Jonas Savimbi, lo seguì con il 40%. Il secondo turno – previsto dalla legge elettorale del tempo – non si disputò mai, visto che il paese ripiombò in una guerra civile che sarebbe terminata soltanto dieci anni dopo, con la morte del leader dell’Unita (Unione nazionale per l’indipendenza totale dell’Angola).
Oggi il clima ricorda, per certi versi, quello del 1992: in uno schieramento l’entusiasmo per un cambiamento atteso dopo 47 anni di potere dell’Mpla (Movimento popolare di liberazione dell’Angola), il partito-stato; nell’altro schieramento il timore di perdere quel dominio politico-economico, che ha garantito esistenze da nababbi all’élite dell’Mpla, soprattutto durante il regno del recentemente scomparso José Eduardo dos Santos (1942-2022).
Mpla diviso
Proprio questa è una prima variabile da considerare, per il voto del prossimo 24 agosto: il fattore dos Santos. Una delle figlie, Tchizé, sembra su indicazione del moribondo padre, ha chiamato alle armi i fedelissimi della famiglia per votare per Adalberto Costa Júnior, presidente dell’Unita. Appello a cui l’ex primo ministro, Marcolino Moto, ha subito risposto positivamente, prefigurando defezioni esplicite all’interno del partito di governo. La granitica compattezza dell’Mpla è ormai un lontano ricordo.
L’altro elemento nuovo è rappresentato dalla leadership di Adalberto Costa Júnior. Ingegnere elettronico con laurea presso l’Istituto superiore di ingegneria di Porto e formato in Etica pubblica all’Università Gregoriana di Roma, dal 2019 ha assunto le redini dell’Unita, mostrando una capacità di leadership indiscutibile, riunendo una parte consistente delle altre opposizioni minori. Le sue battaglie contro la corruzione, per la decentralizzazione, per la separazione partito-stato hanno incrociato le aspettative di gran parte della società civile angolana, specialmente dei più giovani, stretti fra la morsa di una disoccupazione crescente e un costo di vita insostenibile.
Infine, il fattore anch’esso nuovo è rappresentato dalla posizione della comunità internazionale. Se, fino a pochi anni fa, l’Mpla sembrava poter garantire gli interessi americani ed europei, adesso la leadership di Costa Júnior appare l’opzione migliore per l’Occidente.
Il senato americano, per esempio, ha approvato una risoluzione – presentata da tre senatori democratici, con primo firmatario Bob Menendez – volta a chiedere alle autorità angolane la massima trasparenza in occasione delle prossime elezioni. Il timore di brogli e frodi, infatti, è molto elevato, nonostante la presenza di osservatori nazionali (fra cui rappresentanti della Chiesa cattolica) e internazionali che comunque non potranno modificare le decisioni della Commissione nazionale elettorale (Cne) in merito al conteggio dei voti.
Chi controlla la Commissione elettorale
I segnali di possibili brogli non mancano: nelle liste elettorali vi sono ancora numerose persone decedute da anni (si parla addirittura di 2 milioni o più di elettori-fantasma); chi farà il conteggio dei voti sarà la Cne centrale dominata da membri dell’Mpla, col rischio che le roccaforti dell’Unita potrebbero non essere neppure conteggiate; infine la copertura giornalistica degli organi di informazione pubblici è tutto spostata verso l’Mpla e il suo capolista, il presidente uscente João Lourenço.
Per questo le opposizioni hanno coniato lo slogan “votare e sedersi”, senza lasciare il seggio elettorale: ciascuno deve controllare di persona che il proprio voto venga effettivamente conteggiato. La garanzia di un processo elettorale il più possibile trasparente è quindi indispensabile per una votazione che potrebbe cambiare il destino di un intero paese… o quanto meno rivederne gli equilibri politici interni.
Accordo tra governo e Chevron
Visto! Si inquini
Il petrolio rappresenta una delle voci più sostanziose del Pil angolano e il grosso dell’export. Ma produrre petrolio comporta ricadute negative per l’ambiente, soprattutto nella provincia di Cabinda dove si concentrano i giacimenti.
Dal 2014 il governo ha adottato una serie di misure per proteggere l’ecosistema dallo scarico di frammenti di perforazione e di fuoriuscite di petrolio, che si verificano durante l’attività delle piattaforme offshore. Una politica denominata “discarica zero”.
Ora il Corriere della Sera è entrato in possesso di documenti che dicono il contrario. Si legge nell’articolo del 19 agosto: «Il 3 maggio, la società petrolifera americana Chevron, tra le più grandi del mondo che in Angola lavora per mezzo della controllata Cabgoc (Cabinda Gulf Oil Company), ha firmato con il governo una moratoria per poter scaricare nell’oceano tonnellate di rifiuti petroliferi pericolosi. Un accordo che è rimasto nell’ombra». Autorizzazioni simili sarebbero state ottenute anche dalle compagnie Total (Francia) e Esso (Usa).
Né il ministero del gas dell’Angola, né Chevron hanno risposto alle domande del Corriere.