La città scaligera ha festeggiato alcuni anni fa il ritrovamento di uno dei suoi gioielli più preziosi, rimasto chiuso per restauro oltre dieci anni: la sacrestia della chiesa di Santa Maria in Organo, una delle più antiche di Verona. La «più bella sagrestia che fusse in Italia», la definì Vasari per i suoi affreschi, realizzati da Domenico e Francesco Morone tra il 1505 e il 1508, e per le tarsie lignee del coro ‒ capolavoro assoluto di Fra Giovanni da Verona, genio rinascimentale veronese, monaco benedettino olivetano, dall’anima contemplativa e operativa ‒ realizzate a cavallo del XV e XVI secolo.
E ora, ecco questo lavoro di Giacopuzzi dedicato a queste tarsie e a quelle del coro dei monaci. Nato grazie al progetto Verona minor Hierusalem che riprende un’antica denominazione di Verona e che mira a valorizzare il patrimonio culturale di alcune chiese poste sulla sinistra dell’Adige legate ad alcuni luoghi della Terra santa.
L’autore si sofferma non solo sull’arte manuale e tecnica delle tarsie, comunque straordinaria manifestazione di Bellezza, ma intende raccontarcene anche lo spessore teologico-spirituale. E ci aiuta a coglierne il messaggio che vogliono trasmettere. Indicando il compimento del destino di ognuno di noi: la comunione piena con Dio. «Fra Giovanni da Verona ‒ conclude l’autore – assume e configura l’eschaton come paradigma della sua opera, come riflessione e nel contempo come annuncio sul destino buono e definitivo dell’uomo e dell’intero cosmo, alla luce del mistero pasquale di Gesù Cristo».