Sembra essere tornata la calma a Tripoli, dove gli scontri fra milizie avversarie tra venerdì e sabato scorsi hanno provocato 32 morti e 159 feriti. Le peggiori violenze dal cessate il fuoco del 2020. La maggior parte dei negozi ha riaperto al pubblico e anche l’aeroporto di Mitiga è tornato operativo.
I combattimenti, con armi pesanti e leggere, hanno coinvolto i sostenitori dei due governi rivali: da un lato quello di Tripoli, guidato da Abdulhamid Dbeibah, dall’altro quello di Tobruk, guidato da Fathi Bashagha e sostenuto dal generale Khalifa Haftar, l’uomo forte della Libia orientale. Gli scontri si sono conclusi con il tentativo fallito, il terzo, di Bashagha di rimuovere il governo del suo rivale.
Gruppi armati considerati neutrali in questa resa dei conti politica, in particolare la forza di al-Radaa, si sono schierati con Dbeibah, svolgendo un ruolo decisivo nell’esito dei combattimenti.
Il primo ministro di Tripoli è intervenuto ieri sulla pagina Facebook del governo affermando che «gli scontri di Tripoli servono gli interessi stranieri che non vogliono la stabilità del paese definendo i suoi rivali «criminali» e «golpisti» che hanno «fatto la guerra nella capitale con carri armati e armi pesanti». Inoltre ha informato che sono stati presi diversi passi, il primo è quello di perseguire tutti coloro che sono coinvolti nell’aggressione.
Infatti, il procuratore militare libico ha emesso un mandato di arresto contro Bashagha e ai suoi principali alleati, a partire dal generale Osama al-Juwaili, ex capo del servizio di intelligence militare di Tripoli, del ministro della sanità di Bashagha e suo portavoce Othman Abdel-Jalil; e di Mohamed Sowan, presidente del Partito democratico libico.
A sua volta ieri è intervenuto il primo ministro votato dal parlamento di Tobruk, ripreso da Al Wasat, ricordando la sua «rinuncia costante alla violenza» e la sua «assoluta adesione all’esercizio dei diritti politici con mezzi pacifici», accusando il premier rivale di sfruttare «risorse e capacità statali» per formare e sostenere gruppi armati per rafforzare il suo governo e stabilire «un regime dittatoriale, uno stato tirannico che prende di mira chiunque vi si opponga».
La Libia sta attraversando una crisi politica scoppiata dopo le mancate elezioni del dicembre 2021. Crisi rappresentata da un conflitto tra due governi, il primo quello di Bashagha, nominato dal Parlamento di Tobruk, e il secondo, quello di Dbeibeh, che rifiuta di cedere il potere se non a un governo incaricato da un neoeletto parlamento.
Queste differenze sollevano il timore che possano degenerare in una guerra civile, poiché a Tripoli continua la mobilitazione armata da parte delle forze fedeli ai due governi.