Elisabetta II era in Kenya quando, nel 1952, a soli 22 anni, seppe della morte del padre e della sua imminente incoronazione. All’epoca, l’impero britannico era ancora padrone di più di 70 territori sparsi in tutto il mondo. Da allora, gli equilibri geopolitici sono cambiati radicalmente. Un po’ meno quelli economici.
I paesi rimasti attualmente sotto l’influenza diretta della corona sono 14, molti dei quali isole con pochissimi abitanti, come le Falkland.
Il suo è stato il regno che ha visto tramontare e sgretolarsi l’idea di impero britannico, nonostante gli interessi della corona sul suolo africano non siano diminuiti.
Per l’Africa, i rapporti con i paesi occidentali rimangano tesi, così come frequenti sono le accuse di contribuire all’impoverimento del continente e della sua dipendenza economica dalle potenze mondiali. La Gran Bretagna ha sempre continuato a sfruttare la propria influenza per accaparrarsi materie prime. Eppure, sono stati molti i politici che hanno deciso di rendere omaggio alla regina, dopo la notizia della sua scomparsa.
Dal Ghana al Kenya, passando per il Togo, la Nigeria e il Camerun: sono molti i leader politici che hanno dedicato parole di stima e di rispetto verso la Elisabetta II. Altrettante sono le voci che ricordano il ruolo negativo della Gran Bretagna anche dopo l’abbandono della politica coloniale: il linguista nigeriano Uju Anya, per esempio, ha denunciato il ruolo della regina nella guerra civile tra il 1967 e il 1970.
Tuttavia, alcune statistiche dimostrano che non è l’Inghilterra il paese più condannato dagli africani. In cima alla lista sembrano esserci infatti la Cina e gli Stati Uniti. A riprova delle posizioni tutto sommato moderate, c’è la recente annessione al Commonwealth da parte di paesi non anglofoni e privi di legami con il passato colonialista inglese (come Rwanda, Mozambico, Gabon e Togo).