I cittadini del piccolo paese attorniato dal Sudafrica si recano alle urne il 7 ottobre per eleggere i 120 membri del nuovo parlamento in un clima di insicurezza e incertezza. Non sono state approvate infatti le leggi di riforma costituzionale e del sistema elettorale che avrebbero potuto porre fine all’instabilità politica che ha caratterizzato i vari governi che si sono succeduti negli anni.
Le proposte di riforma prevedevano la revisione dell’attuale sistema elettorale proporzionale misto – introdotto nel 1998 – che finora ha portato alla formazione di coalizioni di governo precarie; la limitazione del floor-crossing, con cui si proibisce ai deputati di “cambiare casacca” nei primi tre anni del loro mandato, e il tetto di due terzi dei parlamentari per la rimozione del primo ministro.
Il pacchetto di emendamenti costituzionali affidava a commissioni indipendenti, e non più al parlamento, l’incarico di nominare ambasciatori e capi di enti parastatali, con l’obiettivo di sradicare il fenomeno del nepotismo.
Sul tavolo c’era anche la proposta di assegnare al re Letsie III – che non detiene potere formale – il comando delle forze armate e delle forze di polizia, per ridurre il rischio di politicizzazione degli apparati di sicurezza.
Le proposte di riforma sono state al centro di anni di discussione tra i partiti politici, associazioni della società civile, con la mediazione della Comunità per lo sviluppo dell’Africa australe (Sadc).
Nel maggio scorso, i principali partiti politici avevano assunto l’impegno di approvare il pacchetto di proposte costituzionali ed elettorali, il cosiddetto Omnibus, entro la fine di giugno, prima dello scioglimento delle camere, cioè 90 giorni prima delle elezioni.
Ma alla fine, a causa di divergenze su aspetti di riforme costituzionali e proposte elettorali, il parlamento non ha raggiunto l’accordo necessario per l’approvazione. All’undicesima ora, in seguito alle pressioni esterne – tra cui la Sadc e il Sudafrica -, il Consiglio di stato del Lesotho ha chiesto la riconvocazione del parlamento per una sessione urgente per approvare le riforme prima delle elezioni.
Così, il 16 agosto scorso, il re ha dichiarato lo stato di emergenza, l’unico modo legale per riconvocare il parlamento e votare le riforme.
Tuttavia, anche questo tentativo è fallito dopo che la Corte costituzionale è intervenuta sentenziando che la riconvocazione del parlamento era nulla e non valida perché ingiustificata.
Un duro colpo per quanti hanno lavorato duramente per le riforme costituzionali, compresi l’Unione Europea e il Programma di sviluppo delle Nazioni Unite, che ha finanziato gran parte del lavoro dell’Autorità nazionale per le riforme.
Un voto già contestato
Sono oltre 50 i partiti che domani contesteranno le elezioni, tra cui la Convenzione di tutti i basotho (Abc), la principale formazione politica, e il Congresso democratico (Dc) che costituiscono la coalizione del governo uscente. Dovranno confrontarsi con un nuovo interlocutore, il partito della Rivoluzione per la prosperità fondato da Sam Matekane, considerato l’uomo più ricco del paese.
Chiunque sarà il vincitore, dovrà affrontare tra altre sfide il problema della povertà nel paese, tra i più poveri nel mondo. Su poco più di due milioni di abitanti, il 30% vive con meno di 2 dollari al giorno e circa una persona su quattro è affetta da Hiv/Aids.
A monitorare il voto ci saranno numerosi gruppi di osservatori internazionali, tra i quali la delegazione del Sadc e dell’Unione africana, e per la prima volta anche dell’Unione europea.
Si vedrà se stavolta ci sarà una maggiore partecipazione dei cittadini rispetto alle elezioni del maggio 2017, quando soltanto il 46% degli elettori registrati si era presentato alle urne.