L’Ucraìna tenta un avvicinamento all’Africa e lo fa inviando il suo ministro degli esteri, Dmytro Kuleba. Un tour di dieci giorni cominciato il 4 ottobre ma interrotto bruscamente sei giorni dopo, il 10 ottobre, con l’annuncio del suo rientro immediato in seguito a nuovi, violenti attacchi dell’esercito russo su Kiev, Leopoli e Dnipro.
Gli incontri di Kuleba erano iniziati a Dakar con il presidente Macky Sall e subito dopo in Costa d’Avorio per colloqui con il vicepresidente Tiemoko Meyliet Kone.
Si è parlato di cooperazione nell’ambito del digitale, agricoltura, commercio e istruzione, ha spiegato lo stesso ministro in un tweet. Insomma, il governo ucraìno sottolinea la voglia e necessità di creare nuovi legami e partnership con i paesi africani.
Legami e partnership che in realtà non sono finora esistiti ma che oggi sarebbero più che mai necessari, soprattutto all’Ucraìna, impegnata a resistere e rimandare indietro l’aggressore russo. La visita – meno coperta dai media di quanto fosse stata quella dell’omologo russo – avviene appunto due mesi dopo quella di Sergey Lavrov.
Manovre diplomatiche
Negli scorsi mesi i diplomatici occidentali e i leader ucraìni – a cominciare dal presidente Volodymyr Zelenskyy che a giugno si era rivolto all’Unione Africana tramite collegamento video – hanno cercato di convincere l’Africa ad abbandonare la posizione neutrale nei confronti della guerra in corso o, in alcuni casi, l’appoggio ideale a Vladimir Putin.
Solo quattro leader africani presero parte a quel collegamento, gli altri delegarono ministri o ambasciatori. Un chiaro segno della neutralità del continente nel conflitto o, almeno la volontà di non dichiarare apertamente le proprie posizioni. Alcuni giudicarono “futile” quell’intervento, anzi, sembra non aver sortito effetto la messa in guardia di Zelenskyy secondo cui l’Africa sarebbe “ostaggio”della Russia.
Intervento che però ha finito per dare maggiore spazio di “manovra diplomatica” e comunque attenzione geopolitica ai paesi africani. Non dimentichiamo il viaggio di Macky Sall, presidente di turno dell’Unione Africana e capo di stato senegalese, e del portavoce dell’Unione Moussa Faki, lo scorso giugno a Sochi, dove furono a colloquio con Putin.
Presentato alla stampa come tentativo di mediazione tra le parti, in realtà poneva l’accento su quanto il continente africano fosse diventato importante nelle strategie diplomatiche, nel sostegno all’interno delle istituzioni internazionali e negli accordi economici del futuro.
Ma se nei primi mesi del conflitto si era molto parlato di quanto questo contribuisse all’aumento dei prezzi del cibo e dei carburanti soprattutto per i paesi in via di sviluppo, oggi si cerca di spostare l’asse della discussione sui progetti futuri. Cooperazione e partnership, appunto.
Distanze da colmare
Se i rapporti con Kiev erano stati finora alquanto blandi non si sono evidenziati con i migliori auspici quando, nei primi giorni dello scontro tra i due paesi, gli studenti africani che tentavano di fuggire hanno accusato i funzionari ucraìni di razzismo e discriminazione.
A loro – e lo dimostravano video postati sui social – era rifiutato di salire su pullman e treni che li avrebbero portati lontano dalle bombe. Atteggiamento giudicato allora “inaccettabile” dall’Unione Africana, ma anche dalle stesse Nazioni Unite.
Immagini e accuse che sembrano aver avvicinato anche le nuove generazioni alla Russia, al di là di quella storica vicinanza di alcuni paesi africani all’ex Unione Sovietica e al suo appoggio alle lotte di liberazione e contro l’imperialismo colonialista.
Ma come sta accogliendo oggi l’Africa i nuovi tentativi di avvicinamento (alcuni lo chiamano “corteggiamento”) di Kiev? Come si diceva, la copertura mediatica è di molto inferiore a quanto ci si sarebbe aspettati. Del resto l’Ucraìna – al di là dei programmi di training e scambio per gli studenti – deve ancora sviluppare solide relazioni con il continente africano.
Consideriamo, per esempio, che conta solo 10 ambasciate, un quarto di quanto ne abbia Mosca. E certo, non può competere con la presenza militare della Russia che sia con la vendita delle armi, sia con la presenza sempre più invasiva del gruppo paramilitare Wagner, sta giocando (al di là delle ovvie critiche) un ruolo cruciale nella politica securitaria di molti paesi africani – tra questi quelli del Sahel e la Repubblica Centrafricana -.
Senza contare la capacità di spostare le narrazioni sulle crisi africane (e le evoluzioni di queste crisi) attraverso l’uso massiccio della propaganda.
Ovvio che l’Ucraìna – considerata probabilmente da molti leader africani un satellite della Russia, prima che avvenisse l’invasione e cominciasse la strenua difesa dell’esercito di Kiev e degli ucraini tutti – dovrà costruire (e sembra voler puntare su) collaborazioni economiche e commerciali e di sviluppo che potrebbero tornare utili ai paesi africani qualora il conflitto terminasse a suo favore.
Intanto in Etiopia si sta già lavorando sull’organizzazione del secondo vertice Russia-Africa il prossimo anno.
Sostegno e scetticismo
C’è qualcuno che ci crede. E questo qualcuno, non è un caso, va cercato nelle opposizioni. Per esempio Bobi Wine in Uganda, strenuo avversario del presidente-dittatore Yoweri Museveni, e Zitto Kabwe, ex parlamentare tanzaniano e leader dell’Alleanza per il cambiamento e la trasparenza (Act).
I due sono stati recentemente in Ucraìna con la Brenthurst Foundation, think tank con sede a Johannesburg che si occupa di sviluppo, competitività, democrazia in Africa.
Secondo i due esponenti politici “l’Ucraìna vincerà la guerra contro la Russia”. Non solo per quanto stanno dimostrando sul campo militarmente ma “perché gli ucraìni hanno qualcosa per cui lottare”. “Non abbiamo dubbi – affermano – che questa vittoria sarà anche una vittoria per l’Africa. Anche qui gli atti di aggressione coloniale hanno causato indicibili difficoltà”.
Wine e Kabwe sottolineano i parallelismi tra quanto sta accadendo in Ucraìna (quella della Russia – dicono – “è una guerra di conquista coloniale”) e quanto accaduto in Africa decenni fa, quando “le aggressioni coloniali hanno portato violenza, declino economico e povertà per milioni di persone”.
Le azioni dell’Ucraìna – concludono i due leader politici – dovrebbero ispirare anche i democratici africani a reagire. “Trascurare la lotta ucraìna o, peggio, schierarsi dalla parte della Russia, significa schierarsi dalla parte dell’autoritarismo sulla democrazia, della forza sul diritto”.
Di tutt’altra natura sono le dichiarazioni di Ousmane Sène, direttore del Centro di ricerca dell’Africa occidentale (West Africa Research Center). Secondo l’esperto se non ci fosse stato il conflitto nessun leader ucraìno sarebbe stato in Africa.
«Del resto – dice – storicamente l’Africa non ha avuto legami forti né stretti con l’Ucraìna, il che non è lo stesso per la Russia che invece è stata presente in maniera molto visibile a partire dal periodo successivo alla guerra fredda».
Sène non nega che la Russia sia in grado di controllare in Africa la narrativa sulla guerra in Ucraìna ma riguardo alla mancata condanna dell’aggressione russa chiaramente risponde: «Dov’è l’attenzione del resto del mondo sulle crisi africane? In Mali e Burkina Faso, per esempio, dove si combatte il jihadismo. In Africa c’è l’impressione che la si voglia a tutti i costi trascinare in quello che sta accadendo in Ucraìna ma quando si tratta di conflitti nel nostro continente nessuno si muove».