Il nome Cheikh è molto diffuso in Senegal e significa “Maestro”. Il protagonista-narratore di questo libro porta appunto questo nome. La sua amatissima nonna, saggia dispensatrice di affetto e proverbi, gli ha spiegato da piccolo che un maestro, per essere all’altezza del proprio nome, deve in prima battuta insegnare a sé stesso come essere felice. Anche quando il destino sembra essersi messo di traverso.
Cheikh Diattara, ancora bambino, si ammala di poliomielite. Sopravvive fortunatamente, ma perde l’uso delle gambe. Sentiamo spesso che in Africa i disabili vengono nascosti e/o abbandonati. Nella famiglia di Cheikh, nella comunità rurale di Diender, «dove la sabbia profuma di fiori e i vestiti cuciti con i ritagli di stoffa portano fortuna», questo non accade. Cheikh non è mai lasciato solo o dimenticato. Suona con le sue forti braccia e il padre gli dice che «chi ha mani e braccia per suonare ha mani e braccia anche per tagliare e cucire».
Con altri ragazzi, scampati alla polio come lui, viene mandato a Guédiawaye, alla periferia di Dakar, per imparare il mestiere di sarto. Nel centro gestito da Omar Laye, Cheikh si impegna moltissimo e impara pure a giocare a basket e a ballare. Perché anche su una piccola sedia a rotelle è possibile ballare. E in tutto ciò non è solo. Con lui giocano a basket e ballano, suonano, cantano altri ragazzi disabili. Sono affiatati, hanno talento, e un giorno vengono portati in Italia in tournée.
Non è molto chiaro cosa accada a Salerno. Forse davvero l’impresario li pianta in asso senza paga e passaporti, forse il progetto di non rientrare aveva già preso forma a Dakar. Fatto sta che la band si scioglie e si sparpaglia: chi va a Parigi, chi resta in Italia. Cheikh approda a Milano e trova accoglienza in un centro dove ha l’opportunità di studiare la lingua, incominciare ad amare la città e di entrare a far parte di una squadra di basket.
«Eravamo tutti giocatori in carrozza, con abilità differenti. E il bello era che ci compensavamo tra noi, secondo un calcolo che aveva fatto la società sportiva. Chi aveva le braccia più o meno forti, chi la schiena più rigida o più mobile. Insomma, un bel campionario di umanità». Gioca, vince e inizia a realizzare che un po’ gli manca il suo mestiere di sarto.
Ed è a questo punto che incontra Valeria Zanoni, che si rivela un’ottima amica e, soprattutto, una splendida socia visionaria. Con lei dà vita a una sartoria sociale, dove, usando il wax – il cotone stampato a cera diffuso in tutta l’Africa – vengono prima riparati capi di vestiario rovinati, poi realizzate nuove linee di abiti. Nasce così il brand Kechic che, come gli osservatori più attenti noteranno, è l’anagramma di Cheikh, e che, giorno dopo giorno, sfilata dopo sfilata, sta scrivendo un’altra storia di successo.
In questo volume, accompagnato dalle illustrazioni vivide e sature di colore di Anna Sutor, che richiamano non per caso le tinte e la vivacità dei wax, e con la mediazione narrativa di Emanuela Nava, sceneggiatrice e scrittrice per ragazzi, Cheikh, ovvero il maestro di felicità, ricostruisce la sua storia. E lo fa, per scelta, dando risalto alla positività e alla gioia delle sue esperienze, lasciandosi guidare dalla gratitudine. Non sono state e non sono solo rose e fiori, dice Cheikh. Ma è decidere su cosa soffermarsi che fa la differenza. E lui ha scelto di guardare avanti, creare legami e, insieme con gli altri, saldo sulla sua carrozzina, andare lontano.