Eritrea: arrestato il vescovo di Segheneiti - Nigrizia
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In manette anche altri due preti cattolici
Eritrea: arrestato il vescovo di Segheneiti
Abune Fikremariam Hagos si era espresso pubblicamente contro il coinvolgimento di Asmara nella guerra in Etiopia
18 Ottobre 2022
Articolo di Bruna Sironi (da Nairobi)
Tempo di lettura 3 minuti
Il vescovo di Segheneiti, Abune Fikremariam Hagos (al centro)

Il vescovo di Segheneiti, Abune Fikremariam Hagos, è stato arrestato il 15 ottobre scorso all’aeroporto internazionale di Asmara, la capitale dell’Eritrea, da agenti dei servizi di sicurezza. Abune Fikremariam rientrava nel paese dopo un viaggio in Europa.

La notizia è stata diffusa il 17 ottobre dall’emittente britannica Bbc e ripresa da numerosi organi di stampa regionali. In serata è arrivata anche la conferma indiretta del governo che, in risposta alla richiesta di notizie da parte delle autorità ecclesiastiche cattoliche eritree, ha ammesso di trattenere il vescovo, senza spiegarne le ragioni.

Nel corso della scorsa settimana erano stati arrestati altri due preti cattolici: Abba Mihretab Stefanos, parroco della chiesa di san Michele, di Segheneiti, e il padre cappuccino Abba Abraham, di stanza a Tesseney, al confine con il Sudan.

Voci raccolte in Eritrea dicono che i tre sarebbero detenuti nella prigione di Adi Abieto, un villaggio alla periferia di Asmara, tristemente nota per un massacro avvenuto all’inizio di novembre del 2005, quando le guardie aprirono il fuoco su migliaia di prigionieri, supposti renitenti al servizio nazionale obbligatorio,  rastrellati nelle strade della capitale nei giorni precedenti.

L’arresto del vescovo e dei due preti cattolici avviene in concomitanza con la ripresa della guerra civile in Etiopia e dell’intervento dell’esercito eritreo in Tigray, a fianco dell’esercito nazionale di Addis Abeba. Secondo voci raccolte nel paese, lo scontento per la partecipazione al conflitto e per le politiche autoritarie e repressive del governo sarebbe in crescita.

Abune Fikremariam si era espresso pubblicamente contro il coinvolgimento nella guerra, tra l’altro ammonendo i fedeli a non avvantaggiarsi dei beni razziati dall’esercito alla popolazione del Tigray e messi in vendita nei mercati eritrei.

La Chiesa cattolica ha espresso ripetutamente e in modo chiaro le sue preoccupazioni per la situazione del paese e le sofferenze della sua popolazione attraverso una serie di lettere pastorali firmate dai quattro vescovi. Si può dire senza timore di smentite che la sua voce è rimasta l’unica critica all’interno dell’Eritrea.

Il governo ha risposto limitando progressivamente le sue attività sociali e caritative, nazionalizzando, tra l’altro, scuole e presidi sanitari. Gli ultimi, ad agosto, sono stati l’istituto agrario del fratelli di La Salle ad Hagaz – sulla strada che da Keren si addentra nella regione del Gash Barka – e l’istituto tecnico dei salesiani a Decameré, nella regione del Debub.

Alcuni anni fa aveva suscitato proteste e disordini la nazionalizzazione di una autorevole scuola musulmana, operante ad Asmara dal 1968 e frequentata da molte centinaia di studenti.

L’Eritrea è ritenuto un paese in cui la libertà religiosa è fortemente limitata. Hanno la possibilità di svolgere attività pastorali solo quattro confessioni: la ortodossa copta (che è la più diffusa), la musulmana sunnita, la cattolica (seguita dal 4% circa della popolazione), e la protestante luterana.

Tutte le altre sono proibite, tanto che le carceri sono affollate da migliaia di detenuti per questioni religiose. La grande maggioranza sono fedeli delle chiese evangeliche.

Per aver criticato le interferenze governative negli affari della Chiesa, il governo ha deposto, confinato agli arresti domiciliari per 16 anni e sostituito il capo dei copti eritrei, abune Antonios, morto in detenzione il 9 febbraio, all’età di 94 anni.

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