Crudo intervento quello diffuso nei giorni scorsi con un comunicato dalla consigliera speciale del segretario delle Nazioni Unite per la prevenzione del genocidio, sul conflitto nella regione etiopica del Tigray.
Un conflitto, afferma Alice Wairimu Nderitu, che «raggiunto nuovi preoccupanti livelli di violenza» con stupri diffusi e violenze sessuali, e «livelli orribili di incitamento all’odio e incitamento alla violenza». E che continua ad avere come caratteristica fondamentale la presa di mira dei civili in base alla loro etnia o alla loro presunta affiliazione con una delle parti.
Un atteggiamento disumanizzante, ha sottolineato la diplomatica kenyana, che sta alimentando la normalizzazione della violenza estrema nel Tigray e nelle vicine regioni di Amhara e Afar.
A partire dall’uso di un linguaggio provocatorio da parte dei leader politici e dei gruppi armati, spesso amplificato dai social media. «Gli atroci abusi in atto sono stimolati dal diluvio di incitamenti all’odio a sfondo etnico che si propagano online».
Su questo aspetto si è particolarmente soffermata, descrivendo come «molto preoccupanti» i blog della diaspora che invocano il genocidio del popolo tigrino.
«C’è un discorso spesso propagato attraverso i social media che disumanizza i gruppi (in conflitto) paragonandoli a “un virus da sradicare”, a “un cancro da curare, perché se una singola cellula non viene curata, quella cellula si espanderà e colpirà tutto il corpo” e chiede “l’uccisione di ogni singolo giovane del Tigray”, che è particolarmente pericoloso».
Nderitu ha quindi invitato i leader religiosi e di comunità, nonché gli etiopici nella diaspora, a usare la loro voce per parlare contro l’odio e mostrare solidarietà alle comunità colpite. Ma si è anche rivolta alle società tecnologiche e di social media invitandole a «utilizzare tutti gli strumenti disponibili per fermare la diffusione di incitamenti all’odio, alla discriminazione, all’ostilità o alla violenza sulle loro piattaforme».