Lo sterminato campo rifugiati di Dadaab, nell’est del Kenya, il più grande al mondo, vede crescere ininterrottamente il numero di persone che fuggono soprattutto dalla Somalia a causa di guerra, violenze, siccità e carestia.
Moltissimi, non solo giungono in stato pietoso al campo, ma spesso arrivano fisicamente debilitati e con malattie facilmente trasmissibili. Si tratta ormai, come dichiarato da Medici senza Frontiere (Msf), di 233mila rifugiati, stanziatisi in tre enormi aree in cui è suddiviso il complesso di Dadaab.
Come ha dichiarato il 27 ottobre Adrian Guadarrama, vicemanager del programma rifugiati di Msf in Kenya, molti vengono accolti nelle aree organizzate ma molti di più si stabiliscono in situazione disperata ai margini del campo. Questo potrebbe presto provocare un’epidemia di colera, morbillo e altre malattie tropicali. Alcuni casi, sia di colera che di morbillo, sono già stati identificati a Dagahaley, una delle tre aree del campo.
Peraltro, il neoministro kenyano della salute, Susan Wafula, ha allertato il governo che si sono già registrati 61 casi di colera in sei distretti del paese. Il governo, dal canto suo, nel 2015 aveva smesso di registrare i nuovi rifugiati che non avrebbero più potuto ricevere i servizi basilari e l’assistenza necessaria per la progressiva scarsità di acqua e l’insufficienza di servizi igienici e punti di distribuzione di acqua per lavarsi le mani.
Se da un lato Guadarrama ha dichiarato che la situazione non è ancora del tutto fuori controllo e l’emergenza può essere contenuta, d’altro canto ha sottolineato che occorre riaprire centri di accoglienza e di registrazione dei nuovi arrivi, per poter offrire i servizi più basilari e avviare una campagna di vaccinazioni volta ad evitare il precipitare della situazione.