Avrebbero dovuto far risorgere dalle macerie Gaza dopo i raid aerei israeliani che, nel maggio del 2021, misero per l’ennesima volta in ginocchio la città. E invece il pacchetto di aiuti da 500 milioni di dollari, annunciato all’epoca a caldo dal presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, è rimasto incagliato nella fitta rete di imprese edili che da sempre si contendono uno dei pochi business che nella Striscia di Gaza non conoscono crisi: quello della ricostruzione che riparte, lenta ma puntuale, dopo ogni offensiva israeliana. Ma andiamo per ordine.
Dai bombardamenti all’apertura dei cantieri
Nel maggio del 2021 i bombardamenti israeliani su Gaza durarono undici giorni, concludendosi con un cessate il fuoco tra Israele e Hamas mediato proprio dal presidente egiziano e con un bilancio di 254 palestinesi uccisi, inclusi 66 bambini, e di 12 vittime israeliane, tra cui due minori.
Dopo aver lavorato per la tregua, al-Sisi non si è fermato, comunicando lo stanziamento di 500 milioni di dollari per la ricostruzione delle aree colpite dai raid. Una mossa che all’epoca gli è valsa grande popolarità lungo tutta la Striscia, al punto che a Gaza sono comparsi manifesti con il suo volto. Da allora le cose non sono però andate come il popolo palestinese sperava.
I finanziamenti elargiti dal governo egiziano per la ricostruzione di Gaza sono andati all’impresa edile Abnaa Sinai (Figli del Sinai) di proprietà di Ibrahim El-Argani, uomo d’affari originario di Sheikh Zuweid, nel Nord Sinai. Nell’area ridotta in ruderi da Israele, al confine tra tre quartieri della città, sarebbero dovuti sorgere 120 edifici in cui collocare 2.400 unità abitative.
Quasi cinque mesi dopo l’apertura dei cantieri, Abnaa Sinai ha però accumulato ritardi su ritardi nella consegna dei materiali da costruzione alle 14 ditte che hanno preso in appalto porzioni del lavoro da svolgere: tra queste ci sono Saqqa and Khoudary, Skills and Quality e Golden Sand Construction Co.
Inizialmente era stata prevista una durata dei lavori di un anno che adesso, però, rischiano di slittare a due. Un contrattempo che per le imprese palestinesi coinvolte significherebbe un aumento del 20% delle spese da sostenere per la conduzione dei lavori. Come segnala Africa Intelligence la costruzione di due ponti, prevista nel progetto, deve ancora partire, mentre una strada sul lungomare nella parte nord della città sta per essere completata.
L’uomo d’affari Ibrahim El-Argani
Chi sta beneficiando realmente di questa ricostruzione è dunque Ibrahim El-Argani che tra le tante cose in cui ha le mani in pasta gestisce anche i traffici di merci lungo il valico di frontiera di Salah El-Dine, tra Egitto e Striscia di Gaza, situato vicino alla città di Rafah, nella parte meridionale della Striscia.
Qui El-Argani opera tramite il consorzio egiziano Misr Sinai Investment, il cui azionista di maggioranza è la National Service Projects Organization, di proprietà dell’esercito egiziano.
El-Argani fa affari con le forze armate di al-Sisi non solo nel campo dell’edilizia ma anche in quello delle armi.
In qualità di capo della tribù tarabin, la più numerosa e influente del Nord Sinai, El-Argani ha fondato nel 2015 l’Unione delle tribù del Sinai che sostiene i soldati egiziani negli scontri contro i gruppi jihadisti che rispondono a Wilayat Sinai (Provincia del Sinai), diramazione locale dell’organizzazione Stato islamico.