Proprio mentre in Egitto, al vertice delle Nazioni Unite sul clima (Cop27), si discute su come tentare di salvare il pianeta, il governo angolano autorizza la compagnia petrolifera californiana Chevron a inquinare ulteriormente le acque dell’Oceano Atlantico.
Non è infatti la prima volta che ciò accade: nel 2005 vi fu un’ingente fuoriuscita di greggio che danneggiò un migliaio di pescatori; nel 2011 una serie di organizzazioni della società civile della regione di Cabinda (exclave angolana fra la Repubblica democratica del Congo e il Congo, ndr) presentarono una denuncia contro la Chevron per gli stessi motivi.
A loro dire, questa compagnia avrebbe provocato danni incalcolabili, facendo sparire varie specie di pesci nel Mar di Cabinda, nonché un campo di mangrovie sul litorale del fiume Chilongo.
La Chevron, tuttavia, è molto ben posizionata in Angola, visto che è presente a Cabinda dal 1954, nei blocchi 0 e 14, in acque profonde, con concessioni rinnovate fino al 2050 e la produzione, nel 2015, di 5 miliardi di barili di greggio.
Per questo, il governo angolano non ha mai nascosto da che parte stare e, fra gli interessi divergenti delle comunità locali di pescatori e di ambientalisti e quelli della Chevron, la scelta è sempre andata in favore di quest’ultimo soggetto.
Oggi, lo scenario si ripete, in modo forse ancora più preoccupante: stavolta, infatti – secondo informazioni provenienti da Maka Angola, una iniziativa dedicata alla lotta contro la corruzione e in favore della democrazia, fondata e guidata dal giornalista Rafael Marques de Morais – non si tratta di concessioni episodiche, bensì di una vera e propria moratoria.
Una moratoria che avrebbe l’obiettivo di consentire alla controllata angolana della Chevron, la Cabinda Gulf Oil Company, di scaricare i propri residui altamente inquinanti direttamente nel Mar di Cabinda, per un totale di circa 12 milioni di tonnellate.
La proroga rispetto alla normativa ambientale – definita da Maka Angola come “incomprensibile” – resterà in vigore fino al luglio del 2023, e sarebbe stata concessa “per incombenza superiore”, secondo quanto si può leggere in una lettera scritta dal ministero delle risorse minerarie, del petrolio e del gas al direttore generale della Cabinda Gulf Oil Company, Peter William Lacobie Jr.
La concessione fatta da parte del governo angolano sarebbe “incomprensibile” perché in contraddizione con lo spirito del principio fondamentale della politica di “zero scarichi”, approvata nel 2014, in linea con quanto accade nel resto del mondo.
Nel 2019 fu creata un’autorità formalmente indipendente, l’Agenzia nazionale del petrolio, gas e biocombustibili, che attribuisce licenze di operazioni e investimenti nel settore energetico, lasciando alla compagnia nazionale Sonangol il compito di sfruttare i giacimenti petroliferi locali.
Questa scissione fra compiti di concessione e di esecuzione, però, non sembra sia andata al di là di un mero formalismo. La nuova moratoria concessa alla Chevron sarebbe stata negoziata coi piani altissimi del governo angolano.
In risposta alle veementi critiche, l’esecutivo si à appellato al decreto 97/14. Questo prevede regimi di eccezione in determinate circostanze, quali quelle presenti oggi a Cabinda.
Qui, infatti, non vi sarebbero infrastrutture capaci di trattare i residui derivanti dalla lavorazione del petrolio, né il trasporto di tali scarti verso Luanda o Soyo sarebbe finanziariamente sostenibile da parte della Chevron. Su queste basi legali, la moratoria sarebbe, secondo l’esecutivo in carica, del tutto legittima e anzi inevitabile.
Contestualmente alla risposta governativa, anche la Cabinda Gulf Oil Company ha ribadito la correttezza e legalità del procedimento in corso, sottolineando genericamente che si impegnerà ad attuare le migliori pratiche ambientali per lo smaltimento dei propri residui.
Insomma, se sul fronte giuridico tutto sembra essere a posto, altrettanto non si può dire su quello ambientale e della tutela degli interessi di comunità locali che vedono le proprie attività sempre più minacciate dallo strapotere del binomio governo-multinazionali, verso cui è sempre più difficile resistere.