Ѐ passato esattamente un mese dal 15 ottobre, quando Abune Fikremariam Hagos, vescovo cattolico di Segheneiti, è stato arrestato dalle autorità eritree all’aeroporto di Asmara, di ritorno da un viaggio in Europa. Nei giorni precedenti erano stati imprigionati anche altri due preti cattolici, uno operante nella diocesi di Segheneiti, culla della predicazione cattolica in Eritrea, l’altro a Tessenei, cittadina di confine con il Sudan.
Due zone in cui erano state particolarmente dure le operazioni di reclutamento forzato organizzate nel paese dal 24 agosto, in concomitanza con la ripresa dei combattimenti nella regione etiopica del Tigray, cui l’esercito eritreo partecipava a sostegno dell’esercito nazionale contro le forze di opposizione locali. Una guerra sospesa il 2 novembre con la firma di un accordo di pace.
Da allora, dei tre arrestati non si hanno notizie. Voci non confermate diffuse ad Asmara dicono che il vescovo si troverebbe nel carcere di Adi Abieto, non lontano dalla città. Delle sue condizioni, del regime detentivo cui è sottoposto e soprattutto delle accuse che gli sono rivolte non è, per ora, trapelato nulla.
La Chiesa cattolica, compresa quella eritrea, sta tenendo, per ora, un profilo molto basso sulla situazione. Questo fa pensare che le trattative, sicuramente in corso, per la liberazione dei tre prigionieri, siano particolarmente complesse e delicate.
Tengono viva l’attenzione le comunità eritree della diaspora, almeno quella parte che si oppone al governo di Asmara. Hanno infatti organizzato per le prossime settimane una catena di manifestazioni pubbliche in Europa e Nord America.
La prima si è svolta la settimana scorsa a Ginevra, davanti al Consiglio dell’Onu per i diritti umani. Lo slogan riportato sugli striscioni era “Dov’è tuo fratello?”, cioè il titolo della lettera ai fedeli che i vescovi eritrei diffusero nel maggio 2014, in occasione della festa della liberazione. Un documento coraggioso in cui si esprimevano sulla difficile situazione del paese.
Ѐ stata il primo di una serie di interventi in cui la Chiesa cattolica ha preso posizione in favore dei diritti umani e civili dei cittadini eritrei tutti, diventando così l’unica, finora, voce critica sulle politiche del governo ad esprimersi dall’interno del paese.
Domenica 13 novembre diverse centinaia di eritrei provenienti da tutta Italia e anche da alcuni paesi europei si sono trovati in piazza San Pietro. Stendardi e striscioni chiedevano la liberazione di Abune Fikremariam Hagos e degli altri preti arrestati ingiustamente. Al momento dei saluti, dopo la preghiera dell’Angelus, papa Francesco li ha salutati e ha promesso le sue preghiere per il loro paese.
Un segno di attenzione, anche se la questione per la quale gli eritrei si trovavano sulla piazza non è stata ricordata esplicitamente. Altro segno, probabilmente, di un momento delicato nei rapporti con il governo di Asmara.
Venerdì 18 novembre è programmata una dimostrazione a Washington. Il giorno dopo sarà la volta di Londra, dove i manifestanti si troveranno alla cattedrale di Westminster.
E poi, assicurano i giovani che tengono le fila dell’organizzazione – molti passati dai lager libici e arrivati in Italia sui barconi -, si attiveranno le comunità in Germania, Svezia, Norvegia, Canada e altrove.
L’impegno è non far mai cadere la tensione in modo da ottenere alla fine la liberazione del vescovo e degli altri religiosi incarcerati «perché loro hanno avuto il coraggio di parlare per tutti noi – ha dichiarato uno degli attivisti a Nigrizia – e adesso è venuto il nostro momento di far sentire la nostra voce, forte e chiara».