Si è conclusa il 23 novembre a Tunisi la “Conferenza regionale sulla cooperazione transfrontaliera” che ha riunito, su iniziativa dell’Unione Europea, i paesi del G5 Sahel (organizzazione politica istituita nel 2014 fra Mauritania, Mali, Burkina Faso, Niger e Ciad), la Libia e la Tunisia.
Due giorni di scambi di alto profilo sulla gestione comune dei confini organizzati dalla rappresentante speciale dell’Unione Europea per il Sahel, Emanuela Del Re, e il capo della Missione di assistenza alle frontiere dell’Ue in Libia (Eubam-Libia), Natalina Cea.
Obbiettivo dichiarato dai paesi partecipanti all’incontro è combattere insieme il terrorismo di matrice neo-jihadista e il crimine organizzato che nell’ultimo decennio, sfruttando la porosità dei confini e le reti transfrontaliere del contrabbando e del narcotraffico, hanno concorso a radicare l’instabilità nella regione.
In quest’ottica a Tunisi si è discusso soprattutto di “strategie, azioni e uso di nuove tecnologie per supportare controlli efficaci ai confini”, del “ruolo delle comunità locali in un approccio integrato nella gestione delle frontiere”, oltre che della necessità di “perseguire i crimini frontalieri e i traffici illegali rispettando i diritti umani e frenare i movimenti illeciti di merci e persone utilizzati per scopi dolosi”.
Il comunicato congiunto redatto a conclusione dalla conferenza si chiude con queste parole: “L’Ue è impegnata a rendere più sicure le vite di tutti i cittadini che vivono sulle sponde settentrionali e meridionali del Mediterraneo e a permettere che il nesso sicurezza-sviluppo si sviluppi per il benessere di tutti”.
Anche se nel documento le conseguenze della gestione delle frontiere africane sui flussi migratori verso il nostro continente non vengono mai direttamente citate, dai contenuti emersi in Tunisia appare chiaro che l’Europa sia politicamente interessata a riunire sotto la propria egida il Sahel e la Libia anche in vista del contrasto alle migrazioni irregolari e all’esternalizzazione dei confini europei in Africa.
Da quanto si legge nel comunicato, invece, i paesi africani hanno chiesto all’Ue che la Conferenza regionale possa in futuro diventare una piattaforma permanente di cooperazione fra gli stati aderenti. Questo, in primo luogo, per dare ulteriore impulso agli scambi di informazioni ed intelligence, oltre che agli investimenti in nuove tecnologie di controllo poliziesco e militare dei confini.
Per tradizione, va ricordato, i paesi del Maghreb vengono più spesso associati storicamente e culturalmente al mondo arabo-musulmano e geopoliticamente al Medio Oriente (vedi la “regione Mena”, cioè Medio Oriente e Nordafrica, tanto cara al mondo anglosassone).
Il tentativo dell’Ue è invece quello di avvicinare Libia e Tunisia al Sahel che già nel nome, che deriva dall’arabo sahil “sponda”, racchiude la propria vocazione naturale di ponte fra Maghreb e Africa subsahariana.
Volontà che viene rispecchiata anche nella scelta del logo, dal forte carattere simbolico, della Conferenza di Tunisi: la “L” di Libia che diventa la “S” di Sahel, con tanto di bandiere e colori dei 6 paesi, il tutto racchiuso in un semicerchio formato da 12 stelle blu, emblema dell’Europa, che formano la lettera “C” di “cooperazione” e “cross-border”.
Una nuova sfida per l’Unione Europea che, nonostante resti il primo partner commerciale ed umanitario di tutti i paesi saheliani – come ricordato dalla stessa rappresentante speciale dell’Ue per il Sahel Emanuela Del Re, prima donna italiana a ricoprire questo ruolo, in una lunga intervista esclusiva che verrà pubblicata sul numero di dicembre di Nigrizia -, soffre sempre più la concorrenza asiatica, in particolare cinese e russa, nella ridefinizione delle sfere d’influenza attualmente in corso in tutto il continente africano.