Il gigante minerario con sede in Svizzera, Glencore, ha fatto sapere d’aver raggiunto un accordo con le autorità della Repubblica democratica del Congo per il pagamento di 180 milioni di dollari di risarcimento, che “copre tutte le rivendicazioni presenti e future derivanti da presunti atti di corruzione da parte del gruppo” per un periodo di 11 anni, dal 2007 al 2018.
La somma riguarda le attività delle sue filiali che sono state oggetto di indagini, in particolare da parte del dipartimento di giustizia degli Stati Uniti, del ministero della giustizia e dell’unità di informazione finanziaria congolesi.
Glencore possiede diverse attività nel paese, tra cui la miniera di cobalto di Mutanda – vicino alla città meridionale di Kolwezi, che produce un quarto del cobalto a livello mondiale – e il 75% della Kamoto Copper Company (Kcc), un grande progetto per l’estrazione di rame e cobalto in joint venture con la congolese Gécamines (20%) e l’australiana Simco (5%).
“Glencore è un investitore di lunga data nella Rd Congo ed è lieto di aver stipulato questo accordo per affrontare le conseguenze della sua condotta passata”, ha affermato il presidente del gruppo Kalidas Madhavpeddi, in un comunicato, nel quale assicura che l’azienda si impegna a lavorare con le autorità e altre parti interessate per una buona governance e pratiche commerciali etiche, ed evidenzia che oggi la società ha un consiglio di amministrazione e un gruppo dirigente rinnovati.
Le accuse di corruzione nei confronti di Glencore – una delle più grandi società di materie prime al mondo, con circa 135mila dipendenti in più di 35 paesi – riguardano non solo la Rd Congo, ma anche altre nazioni del continente africano e sudamericano (Brasile e Venezuela), per le quali il colosso svizzero è finito sotto inchiesta da parte delle autorità statunitensi, britanniche e brasiliane.
A maggio, il Dipartimento di giustizia degli Stati Uniti ha affermato che Glencore aveva ammesso di aver cospirato per pagare circa 27,5 milioni di dollari a terzi per assicurarsi “vantaggi commerciali impropri” nella Rd Congo.
Sempre a maggio, Glencore ha anche ammesso di aver pagato milioni in tangenti a funzionari in diverse altre nazioni africane.
A novembre un tribunale del Regno Unito ha ordinato alla società di pagare più di 340 milioni di dollari a seguito di un’indagine su tangenti pagate per ottenere un accesso preferenziale al petrolio in Camerun, Guinea Equatoriale, Costa d’Avorio, Nigeria e Sud Sudan.
Osservando la cultura che si è sviluppata a Glencore, il giudice dell’Alta corte Peter Donald Fraser ha affermato che «la corruzione è stata accettata come parte del modo di fare affari dell’ufficio dell’azienda in Africa occidentale».
Recente anche il caso di Badila, nel Ciad meridionale, dove un gruppo di cittadini ha portato in tribunale a Londra la filiale britannica del colosso minerario per l’inquinamento causato nel settembre 2018 da un ingente sversamento di un liquido tossico nei terreni e nei corsi d’acqua.
In totale quest’anno, Glencore ha accettato di pagare più di 1,6 miliardi di dollari di multe quest’anno. Penali che non sembrano però intaccare i suoi profitti da record, previsti attorno ai 3,2 miliardi di dollari nel 2022.