Etiopia: questione oromo, una ferita aperta - Nigrizia
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La carta del dialogo indispensabile per pace e riconciliazione nazionale
Etiopia: questione oromo, una ferita aperta
Lo stop alle armi decretato un mese fa tra governo e ribelli nella regione del Tigray ha gettato acqua sull’epicentro del conflitto ma non ha spento l’incendio. Che infiamma ancora la vicina regione Oromo. Anche su questo fronte un passo decisivo può essere l’apertura di colloqui di pace
06 Dicembre 2022
Articolo di Giuseppe Cavallini
Tempo di lettura 6 minuti
Combattenti dell'Ola (Credit: Ola website)

L’Etiopia, secondo paese dell’Africa per numero di abitanti (120 milioni) conta oltre 80 diversi gruppi etnici ed è suddivisa oggi in 12 stati federali organizzati prevalentemente lungo linee etniche.

Il più recente censimento nazionale, del 2007, dava il seguente quadro statistico della popolazione etiopica: oromo 34,5%; amhara 26,9%; somali 6,2%; tigrini 6,1%; sidama 4%; gurage 2,5%; welaita 2,3%; hadiya 1,7%; afar 1,7%; gamo 1,5%. Gli oltre 70 gruppi etnici rimasti compongono il 19,8% della popolazione totale.

Quando l’attuale primo ministro Abiy Ahmed, di padre oromo e madre amhara, venne nominato nel 2018, promettendo una radicale riforma politica e un processo di riconciliazione nazionale, molti furono convinti che il paese avrebbe potuto uscire finalmente da una lunga stagione di tensioni e conflitti politici e interetnici.

Gli oromo, l’etnia maggioritaria con circa 45 milioni, avevano esultato quando Abiy venne scelto come premier, primo oromo nella storia millenaria del paese.

In effetti, subito dopo la nomina, Abiy mise in atto numerose riforme accolte con entusiasmo, quali il rilascio di prigionieri politici e il permesso di rientro a dissidenti di ogni sorta.

Esercito e Fronte di liberazione oromo

Tra l’altro, nel luglio 2018, il suo governo rimosse il Fronte di liberazione oromo (Olf) dalla lista delle organizzazioni terroristiche. Ben presto migliaia di oromo rientrarono in Etiopia.

Ma quando fu avviato il processo di disarmo dell’organizzazione, una fazione del Olf rifiutò di deporre le armi e il movimento si spezzò in due. Il gruppo ribelle, definitosi Esercito di liberazione oromo (Ola) o Olf-Shene, o semplicemente Shene, in maggio 2021 venne perciò nuovamente incluso tra i gruppi terroristici.

Inoltre, quando il primo ministro avviò un processo di revisione del sistema politico federale in favore di un sistema di governo più unitario e centralizzato, formando la nuova coalizione del Partito della prosperità, vi fu la reazione negativa da parte del gruppo di opposizione oromo, che si riorganizzò e, insediandosi in regioni marginali dello stato-regione oromo, si diede a operazioni di guerriglia. 

Ma anche altri gruppi etno-regionali fecero lo stesso, tra questi il Tplf (Fronte popolare di liberazione del Tigray), che dopo i trent’anni in cui dominò la scena politica nel paese, vedendosi gradualmente emarginato e timoroso di perdere potere e autonomia, a inizio novembre 2020 entrò in conflitto con Addis Abeba.

Una guerra devastante che in due anni ha provocato distruzione e morte, e ha creato due milioni di rifugiati e sfollati. Da qualche settimana, fortunatamente, sembra che Addis Abeba e Makallè abbiano intrapreso la strada della pace con i negoziati tra governo centrale e leader tigrini condotti in Sudafrica e in Kenya.

Quanto al Olf, che era stato riconosciuto in novembre 1919 come partito politico, la sua azione rimase limitata da vari fattori, tra cui la chiusura di molti suoi uffici e l’arresto di numerosi leader e sostenitori del partito che si opposero al posticipo delle elezioni politiche motivato dalla pandemia, e che si sarebbero poi tenute il 21 giugno 2021.

Peraltro, l’Olf – seguendo le orme del Tplf che rifiutò la decisione di posticipo delle elezioni organizzando illegalmente la propria competizione elettorale regionale – boicottò le elezioni sostenendo di non essersi potuto organizzare in seguito alla stretta governativa nei confronti di tanti suoi membri. 

Da sottolineare anche un grave fatto accaduto il 29 giugno 2020, pochi mesi prima dello scoppio del conflitto tra Etiopia e Tigray, che contribuì a creare ulteriori tensioni tra il governo e la popolazione oromo.

Un popolare artista e cantante oromo, Hachalu Hundessa, spesso critico verso il governo nelle sue canzoni, venne ucciso scatenando per giorni in tutto lo stato Oromo violente proteste che costarono la vita ad almeno 239 persone.

Migliaia di civili furono arrestati, inclusi vari membri del Olf e di un secondo partito oromo d’opposizione, il Congresso federalista oromo (Ofc), accusati dal governo di aver fomentato la violenza.

L’Ola, dal suo rientro in Etiopia, ha proseguito la propria azione di guerriglia soprattutto nelle regioni dell’ovest e del sud dello stato Oromo.

Alleanza con i tigrini

Le sue operazioni si intensificarono nel 2021, e mentre gran parte della sua attività consisteva in scontri contro le forze governative, il gruppo si diede ad attaccare anche villaggi e insediamenti civili, soprattutto di persone di etnia amhara che vivevano da lungo tempo in territori oromo.

Inoltre, nel momento di maggiore successo dei gruppi ribelli, in agosto 2021, l’Ola stabilì un’alleanza con il Tplf in chiave antigovernativa, in una mossa a tenaglia da nord (Tplf) e da sud (Ola) nel tentativo di puntare all’occupazione di Addis Abeba.

Di fronte al successo dei fronti antigovernativi, in novembre 2021 Addis Abeba dichiarò lo stato d’emergenza che aprì la porta all’arresto di chiunque fosse ritenuto collaboratore dei gruppi definiti ‘terroristi’.

Lo stato d’emergenza – che portò alla carcerazione di migliaia di persone per lo più di etnia tigrina, ma non solo – venne poi revocato in febbraio 2022, dopo l’annuncio di una tregua umanitaria, il ritiro dell’esercito tigrino nella propria regione e il miglioramento delle condizioni di sicurezza generale.  

Non è facile comprendere che relazione intercorra tra l’Olf, riconosciuto dal governo, e l’Ola, nella lista dei gruppi terroristi. C’è chi specula che le due formazioni oromo abbiano tuttora relazioni piuttosto strette tra loro.

Al governo, che include anche rappresentanti dell’Olf benché tenti in tutti i modi di stabilire una totale scissione tra Olf e Ola, risulta ostico anche capire il rapporto della popolazione ordinaria con i due gruppi oromo.

Repressione, fino a quando?

Continuano così a verificarsi incidenti nei quali le forze di governo – secondo molte fonti – continuano a perseguire, arrestare o anche porre in atto esecuzioni extragiudiziali di civili oromo, sospettati di mantenere legami e dare sostegno ai ribelli dell’Ola.

Il portavoce dell’Ola, Odaa Tarbii, dal canto suo, ha dichiarato che il governo di Abiy Ahmed non intende avviare negoziati di pace con l’Ola che viene screditato con la falsa accusa di non avere né una struttura né una leadership riconosciute.

Secondo il portavoce, dopo che Addis Abeba ha concluso le trattative con il Tplf, che è tuttora designato organizzazione ‘terroristica’ alla stregua del Ola, non c’è più ragione che giustifichi il fatto di rifiutare negoziati anche con l’Ola, nonostante la pressione internazionale perché questo avvenga.

«La nostra lotta, tuttavia, proseguirà fino a quando la questione del popolo oromo troverà una risposta adeguata», ha concluso Odaa.

La situazione di instabilità tuttora presente nel paese non fa ben sperare, anche se un passo veramente decisivo potrebbe essere costituito, per l’appunto, dalla cessazione delle ostilità in Tigray, già in atto, e da un effettivo ristabilimento della pace nella tribolata regione del nord.      

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