Quella che si gioca mercoledì 14 dicembre in Qatar, tra Francia e Marocco, non è solo la semifinale della Coppa del Mondo di calcio, ma un altro dei tempi della più complessa partita del presente e della storia tra i due paesi.
I Leoni dell’Atlante affrontano la nazione che ha esteso il proprio protettorato dal 1912 fino all’indipendenza, e che è poi il paese di maggiore accoglienza dei propri migranti. La comunità marocchina in Francia è, dopo quella algerina, la più numerosa tra i paesi dell’altra sponda del Mediterraneo.
La partita Parigi-Rabat non è solo quella dei rispettivi vertici, il presidente Macron e il re Mohammed VI, ma di due società. Le restrizioni poste nel settembre dello scorso anno da Parigi al rilascio dei visti ai cittadini in provenienza del Maghreb, in virtù della reticenza di questi paesi alla riammissione dei propri cittadini entrati in Francia in situazione irregolare, ha colpito la società marocchina, tradizionalmente aperta nei confronti dell’ex-colonizzatore.
Le comunità marocchine delle due sponde hanno relazioni strette, le visite e gli scambi sono parte di un modo di vivere, e di pensare, che è stato bruscamente interrotto dalle misure amministrative a forte impatto politico.
Le due società, francese e marocchina, sono inoltre fortemente compenetrate sul piano linguistico e culturale: oltre 46mila giovani marocchini studiano il Francia, il numero più alto tra i paesi maghrebini, mentre le scuole francesi in Marocco ospitano altrettanti giovani del luogo. D’altro canto molti francesi scelgono il Marocco come residenza, e per le vacanze. Ai legami culturali e sociali si aggiungono quelli economici che non sembrano soffrire dell’attuale crisi tra i due paesi.
La vicenda dei visti è stata letta come una sorta di frattura da parte della sponda sud del Mediterraneo, e particolarmente quella del Marocco. E questo ha dato alla monarchia il pretesto per evidenziare le criticità diplomatiche tra i due paesi.
Il nodo Sahara Occidentale
Rabat ha in politica estera una bussola orientata esclusivamente verso il Sahara Occidentale, come dimostra la rottura dei rapporti diplomatici con l’Algeria nell’estate dello scorso anno, le alterne vicende dei rapporti con la Spagna o la più recente crisi con la Tunisia.
Parigi è da sempre la maggiore sostenitrice dell’annessione di questo territorio da parte di Rabat e le sue minacce di veto da almeno trent’anni impediscono al Consiglio di sicurezza Onu di uscire dall’impasse di un piano di pace rimasto inapplicato.
Alla monarchia però, questa politica non basta più. Dopo il gran gesto di Trump che nel dicembre 2020, poco prima di lasciare la presidenza, ha riconosciuto l’annessione da parte del Marocco in cambio della contemporanea normalizzazione dei rapporti con Israele, ci si aspetta che Parigi faccia altrettanto.
Macron tuttavia non può permettersi questo gesto, poiché romperebbe la fragile tregua con l’Algeria, siglata con la recente visita ad Algeri nell’agosto scorso.
L’equilibrismo di una diplomazia ben rodata non dovrebbe essere impossibile per Parigi, così come per Rabat, anche se quest’ultima non si fa problemi a tentare di tenere sotto controllo il più potente alleato.
È che questa volta il gioco è tra due società più che tra due diplomazie. I non detti, le ferite delle memorie, e soprattutto la sensazione di essere respinti in blocco, ha creato nelle comunità marocchine delle due sponde un sentimento di umiliazione, di “ingiustizia” che rende la partita di domani la partita della storia e della vita di questa comunità.