Il 2022 è stato un altro anno nero per i giornalisti in vari paesi del mondo. A denunciarlo sono i rapporti del Comitato per la protezione dei giornalisti (Cpj) e di Reporter senza frontiere (Rsf), diffusi il 14 dicembre, che segnalano il raggiungimento di un nuovo record globale, con un aumento del 20% delle detenzioni rispetto allo scorso anno, che già aveva registrato a sua volta una crescita del 20% rispetto al 2020.
Il Cpj conta 363 incarcerati in relazione al loro lavoro fino al 1 dicembre. Molto più alto il numero per Rsf, che conteggia anche i non professionisti: 533, 45 in più rispetto ai 488 del 2021. Rsf segnala anche un nuovo aumento del numero di giornalisti uccisi nel mondo (57), con 65 reporter sequestrati come ostaggi e 49 dispersi.
Un altro dato senza precedenti sono le 78 le giornaliste donne attualmente dietro le sbarre. “Dopo essere aumentato di quasi il 20% lo scorso anno – scrive – , il numero di giornaliste detenute registra un nuovo record e sale del 27,9% nel 2022”.
I primi cinque carcerieri quest’anno sono Iran, Cina, Myanmar, Turchia e Bielorussia, ma anche in Africa si conferma il posizionamento negativo di paesi come l’Egitto e l’Eritrea, rispettivamente al settimo e nono posto secondo il report del Cpj.
Secondo il quale nel continente sono almeno 56 i reporter privati della libertà, oltre la metà in Egitto (21) ed Eritrea – dove, si legge, “i 16 nelle sue celle sono trattenuti senza processo o accesso ai propri familiari o avvocati per periodi che vanno dai 17 ai 22 anni” -, ma anche in Camerun (5, tredicesimo nella lista) e Rwanda (4, al sedicesimo posto). Seguono Marocco (3, posizione 17) e Repubblica democratica del Congo (2, ventesima posizione).
“In un anno segnato da conflitti e repressione, i leader autoritari hanno raddoppiato la criminalizzazione dei giornalisti indipendenti, impiegando una crescente crudeltà per soffocare le voci dissenzienti e minare la libertà di stampa”, afferma il Cpj.
Che fa in punto sulla situazione di alcuni paesi. In Rwanda tre dei quattro giornalisti dietro le sbarre pubblicano il loro lavoro su YouTube, che secondo il Cpj è una delle poche piattaforme editoriali rimaste nel paese, poiché lo spazio per il dissenso è chiuso all’interno dei media tradizionali. Almeno due di loro, Aimable Karasira e Dieudonne Niyonsenga (noto anche come Hassan Cyuma), sarebbero stati sottoposti a torture e maltrattamenti.
Non molto migliore la situazione in Camerun che compare nel censimento del Cpj ogni anno dal 2014, ed è il secondo peggior carceriere dell’Africa subsahariana, con cinque giornalisti detenuti arbitrariamente “secondo un sistema opaco che include l’uso di tribunali militari”.
Il conflitto nel Tigray ha poi peggiorato la situazione dei giornalisti in Etiopia “perché i combattimenti sul campo sono accompagnati da disinformazione e da una guerra di narrazioni sui social media”.
“Nonostante il recente rilascio su cauzione del giornalista Natnael Gecho, l’Etiopia ha ancora una cattiva reputazione per la libertà di stampa poiché le autorità di Addis Abeba hanno arrestato a intermittenza più di 60 giornalisti, la maggior parte dei quali per periodi prolungati senza accuse formali, dall’inizio della guerra nel Tigray nel novembre 2020”.
Il Cpj fa anche notare che almeno cinque giornalisti detenuti nella capitale regionale Makellè, non sono inclusi nel conteggio, “perché i loro carcerieri sono attori non statali, un indicatore rivelatore delle condizioni pericolose per i giornalisti che cercano di coprire il conflitto”. (MT)