Tra coloro che criticano l’attuale modello di sviluppo, Pallante si segnala per le sue posizioni nette. Una decina di anni fa, la pubblicazione di un suo libro – La decrescita felice – La qualità della vita non dipende dal Pil – aveva alimentato un vivace dibattito e avvicinato una quota di opinione pubblica a questo tema strutturale. Ora l’autore torna alla carica, proponendo un saggio in cui si interroga sul significato e sulla portata di progetti che prendono il nome di “transizione ecologica” e di “sviluppo sostenibile” e che sono citati a dismisura in ogni convegno.
E alla luce dei scarsi risultati ottenuti lo scorso novembre dalla Cop 27, la Conferenza internazionale incentrata sulle strategie per la riduzione delle emissioni di CO2 e contenere così i cambiamenti climatici, è lecito porsi più di qualche domanda e trarre qualche conclusione. Per esempio.
«Lo sviluppo di un sistema economico e produttivo è misurato dalla crescita annuale del prodotto interno lordo pro capite, ovvero dal valore monetario complessivo delle merci prodotte e scambiate con denaro nel corso di un anno (il Pil) e il numero delle persone che hanno effettuato gli scambi: Pil/popolazione. Poiché lo sviluppo economico mondiale ha superato i limiti della sostenibilità ambientale, per diventare sostenibile deve modificarsi in un graduale rientro all’interno di quei limiti. Se non si caratterizza in questo modo non può assumere la connotazione della sostenibilità, ma se si caratterizza in questo modo non è uno sviluppo».